Black-out mentale

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black-outSono  sul palco.

Mi fissano tutti.

I loro sguardi in attesa. Aspettano che accada qualcosa.

Ma non accade.

Non succede nulla.

Un fascio di luce mi avvolge, rendendo il rossore soffuso del mio viso ben vivido e il tremore del labbro inferiore in risalto.

Cosa c’è di sbagliato nel mio cervello che, in presenza di persone, mi impedisce di sciorinare il discorso che ho preparato, ripetuto e curato con tanto impegno?

Mi sento osservata, e faccio bene.

Paolo e Vittoria, dietro di me, mi guardano.

Come tutti.

Paolo arrabbiato, Vittoria con la faccia di chi non vorrebbe mai essere al tuo posto.

Se mi chiedessero come mi chiamo non saprei rispondere.

O forse sì, mi chiamerei “VOGLIO SPARIRE” oppure “A ME UNA VANGA!”.

Scaverei  fino a liquefarmi nel magma del centro della Terra.

Dopo dieci secondi, minuti o secoli che siano, di scena muta totale, le mie mani prendono il colorito del latte cagliato, il mio viso è rosso come la tuta di Flash e i miei occhi appuntati al pavimento come una spilla da balia ad un abito.

Parte un applauso assolutamente immeritato e finalmente posso velocemente camminare (fiondarmi) nell’invitante buio del retroscena, nell’accogliente  nulla dell’impersonalità, nell’acre veleno del fallimento.

Scendo dal palco.

Lontana dagli occhi, gli stessi contro cui ho imprecato, che ho implorato di dissolversi nell’aria o, perlomeno, di distogliersi da me …

Quando però i miei piedi sono saldamente piantati a terra (per quanto possano essere salde le mie ginocchia tremanti), non sono di paura le lacrime che mi colano dagli occhi.

Ma  di vergogna e tristezza per l’ orribile figura che ho costretto a subìre i miei compagni.

A Paolo, che si era impegnato al massimo, e a Vittoria, che invece di accusarmi mi consola, quando, sola, sono china sulle ginocchia a farmi passare la tremarella e il buco allo stomaco.

Che figura.

Giulia Beltramino (2B)

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