Brasile o Svizzera?

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San PaoloTorino, 22 luglio 2012. Ore 8:35 suona la sveglia. Valigie pronte. Ore 13:30 partenza in macchina con l’intera famiglia per Milano Malpensa.

Dopo un viaggio noioso e all’insegna della classica agitazione da partenza fatta di tanti piccoli colpi al cuore, del tipo “… ma il passaporto lo abbiamo preso? E i biglietti? E …?” si arriva all’aeroporto di Malpensa e ci si prepara all’imbarco. Volo Malpensa-Amsterdam. Altre due ore passate sul sedile di un aereo a far niente (forse un buon libro sarebbe stato utile, ma stupidamente li avevo fatti tutti imbarcare!). Albergo prenotato vicino all’aeroporto di Schiphol per trascorrere la notte prima del mio “viaggio verso l’ignoto”.

Giorno 23 luglio: si parte per la traversata oceanica, direzione São Paulo, aeroporto di Guarulhos. Volo in business class ottenuto grazie ad un errore dell’agenzia, comodità assoluta. Superata la Spagna il volo diventa estremamente monotono, mare, mare e ancora mare; nient’altro, una distesa di azzurro da dar la nausea, sopra azzurro e sotto anche. Quando, ad un certo punto, il ricordo dei film sui pirati con l’uomo di vedetta che grida “terraa!” dopo settimane di navigazione, è inevitabile. Infatti, guardando dall’oblò ci si accorge del mutamento del paesaggio. La prima percezione è legata ad un effetto cromatico: il rosso intenso e il verde hanno preso il posto dell’azzurro, subito dopo ci si rende conto che il mare è stato sostituito da distese di foreste intervallate da ampie pianure coltivate, caratterizzate da un anomalo color rosso. Penso sia un effetto ottico, non ho mai visto un colore simile. Ma quando il Boeing 777 inizia la procedura di atterraggio e si avvicina velocemente al suolo comprendo che non è un effetto ottico.  L’intero Brasile è coperto di terra di un colore rosso intenso.

Durante la discesa gli assistenti al volo omaggiano i passeggeri della business class con graziose casette azzurre in ceramica, tipicamente olandesi, come la compagnia aerea. Secondo le previsioni meteo consultate prima di partire, a São Paulo avrebbe fatto parecchio freddo, cosa velocemente smentita dal sudore sulle nostre fronti. Siamo stanchi, risentiamo del jet lag (differenza di 5 ore)e sembra impossibile trovare un’uscita nel grande labirinto di Garulhos.  Dopo un po’ scopriamo di essere vittime delle parole catalogate come “falsi amici”, ovvero parole che per somiglianza con l’italiano crediamo di comprendere. In questo caso il problema sta nel malinteso nato dalla parola “saida” che, da buoni italiani,  è fin troppo facile tradurre con “salita”, mentre in  portoghese significa “uscita”.

Siamo tutti stanchi e  l’arrivo a San Paolo ci ha fatto illudere di essere giunti a destinazione,  ma  il nostro viaggio non si è ancora concluso, infatti la megalopoli paulista è solo una tappa, il vero obiettivo è una cittadina chiamata Campos do Jordão che dista circa tre ore e mezza di auto. Come previsto l’arrivo nella cittadina avviene intorno alle 21. Una sorpresa, guardandoci attorno sembra di non aver lasciato mai l’Europa, di essere in un paese delle Alpi, forse la Svizzera. Chi ha una chiara idea dello stereotipo del Brasile, grandi megalopoli al sud, spiagge stupende al nord e favelas un po’ ovunque, faticherà a credere al mio racconto . Eppure la città più  infrequentata dai brasiliani, ma poco conosciuta nel resto del mondo,  è  Campos do Jordão, una cittadina turistica, con un profilo squisitamente nordeuropeo, case in legno e tetti tanto spioventi tanto che sembra di ritrovarsi in un secondo a Cortina d’Ampezzo.

I giorni passano e gradualmente gli effetti dovuti alla differenza di fuso orario si affievoliscono;  si inizia a fare conoscenza con le persone del luogo. Ospitati da una famiglia italiana trasferitasi più di venti anni fa nel paese verde oro, si riesce tutto sommato ad andare avanti senza troppi problemi con la lingua.

I giorni passano e le figuracce sono inevitabili: se si ringrazia qualcuno dicendo “obrigada”, non sapendo che esistono sia il maschile sia il femminile, le conseguenze sono prevedibili, risate, prese in giro e sbeffeggiamenti.

Primo giorno di scuola, 30 luglio. Batticuore come il primo giorno delle superiori. Gli studenti non sono ancora in classe, è d’obbligo salutarli tutti. Come comportarsi? Vecchia tecnica: dare un bacio sulla guancia alle ragazze e una salda stretta di mano ai ragazzi. Si va sul sicuro, prima i ragazzi, in seguito le ragazze. Mi avvicino al viso della prima ragazza, mi sposto con naturalezza verso destra e incontro i suoi occhi. Panico. Con un po’ di ritardo arriva ai neuroni la raccomandazione datami dall’amica che mi ospita: le donne si salutano dando un bacio sulla guancia destra, non sulla sinistra come accade in Italia. La fortuna di avere riflessi abbastanza buoni mi aiuta, così mi sposto velocemente da destra a sinistra  ed evito una figura orrenda proprio il primo giorno di scuola.

Prime due ore di lezione: chimica. Interessante, se non ci fossero due ostacoli: la lingua e nessuna conoscenza della materia. Il tutto  reso più complicato dalla complessità dell’argomento: funzionamento dei catalizzatori nelle reazioni chimiche e dell’isomeria geometrica delle molecole. Un dubbio mi assale: sono in Brasile oppure in un mondo abitato da extraterrestri, parlanti un’altra lingua e molto più evoluti?.

L’impressione svanisce poco dopo; al cambio d’ora, arriva  un altro professore, che dovrebbe spiegare agli alunni la fisica dei campi magnetici e dell’elettricità, ma che di fatto contribuirà ad aumentare la mia confusione. Dopo il suo ingresso  in classe, la sensazione di inferiorità svanisce e si fa affaccia l’idea di essere in uno zoo, con tanti animali liberi dalle gabbie e il padrone del parco zoologico che se la ride e gioca con loro. Finalmente il professore si accorge della presenza di due nuovi alunni in classe, io e l’amica che mi ospita e comincia a fare domande; ovviamente non capisco niente di ciò che sta succedendo, così decido per l’utilizzo di una vecchia tecnica, tramandata da generazioni: sorrido e annuisco. Quando il professore, di nome Mauricio,  si accorge che sono italiano mi chiede se parlo portoghese. La risposta provata più e più volte in camera è utile “Não falo muito portugues, mas si você fala muito devagar eu entendo”, che tradotto vuol dire “ non parlo molto portoghese, ma se tu parli molto lentamente io capisco”. La risata di Mauricio è inevitabile, prova quindi a dire due parole in inglese, le uniche che riesco a capire, essendo molto volgari, le ometto.

La lezione riprende dopo venti minuti persi fra risate e battute. Argomento del giorno: solenoidi. Sentendo la parola, se non si conosce la materia, si pensa subito a qualcosa legato alle stelle. No, non avendo capito niente del discorso non posso spiegare precisamente di cosa si tratti; so che centra qualcosa con l’elettricità e i campi magnetici, di più non posso affermare con sicurezza.

L’ora finisce col suono più amato da tutti gli studenti del mondo: la campanella. L’ora successiva è matematica, e il professore a prima vista sembra bravo nelle spiegazioni. Mi pongo l’obiettivo di capire almeno l’argomento di cui sta parlando. Purtroppo non raggiungo lo scopo, ma capisco dalla parola scritta sull’enorme lavagna che si parla di matrici. Disorientamento totale, in quattro ore di lezione ho capito solo il nome dell’argomento trattato e cinque altre parole “ Oi, bom dia, tudo bem?” ovvero “Ciao (quando ci si incontra), buongiorno, tutto bene?”.

Durante l’intervallo i ragazzi e le ragazzi mi chiedono molte cose,  di me e dell’Italia, ma io capisco proprio poco, così ripeto come un mantra “Entendi nada! Fala devagar”, “ Non ho capito niente! Parla lentamente”. Gli sforzi che tutti fanno per farsi capire sono impressionanti, ma i risultati sono scarsi. Così Talita, la mia amica, vedendomi in difficoltà e aggrappato al dizionario “italiano-portoghese”, decide di venire  in mio soccorso.  Grazie!

Nuova ora di fisica, altro professore. La fortuna è dalla mia parte, l’argomento è l’attrito, argomento già affrontato in Italia. Tanto per cambiare non capisco niente di ciò che dice il professore eccetto i termini specifici della materia “atrito éstatico, atrito dinãmico”.

Arriva l’ultima ora della giornata, professore di storia. “Revolução françesa”. Un argomento affrontato molto approfonditamente in Italia. Sospiro di sollievo. Il professore dopo aver scritto per 20 minuti su una  lavagna di dimensioni  titaniche, comincia a spiegare. Fine lezione. Sono Sconvolto. Non credo ai miei occhi ed alle mie orecchie. Penso subito ad una cosa, quest’uomo dovrebbe andare al “Guinness World Record”. L’argomento che nella mia classe in Italia è stato affrontato in 2 mesi circa, è stato risolto in mezz’ora di spiegazione. Una delle parti più importanti della storia europea, ma non solo, un vero pilastro della democrazia, trattata con una velocità a dir poco scandalosa.

Campanella. Fine lezione. Si va a casa. L’intera famiglia ad aspettarmi fuori dalla scuola. “Com’è andata?”.

Una risposta sola mi viene “Questo è un paese di matti”.

 

Alessandro Farbo (4B)

 

 

 

 

 

 

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