Lo vedo da lontano risalire la mia stessa strada e subito mi viene da paragonarlo a un’anima dell’Inferno, che lentamente metto a fuoco mentre avanza, scura, nella foschia invernale. Si avvicina eppure i suoi passi si fanno più distanti, come se l’udito lasciasse il posto agli altri sensi. Rilascia un profumo di muschio, di bosco, un misto tra legna bruciata di camino e tabacco da pipa, tanto marcato che quasi lo si può sentire in bocca anche se, come me, non lo si ha mai provato. Alle mie dita, intirizzite dal freddo nelle tasche della giacca, non viene difficile sentire il cappotto marrone di lana dura in cui è avvolto; uno strano cappotto, a dire il vero, un misto tra una giacca da cacciatore e un pastrano più lungo, elegante da borghese di città. Da qui, il suo volto è sfocato e ombroso, avvolto nel cappuccio quasi da frate. Ma come non immaginare una folta barba a incorniciare un volto magro, dei tratti misteriosi, una carnagione chiara, uno sguardo profondo di due lontani, enormi occhi neri?
La sua vista da un lato ispira mistero, che porta al timore, dall’altro induce curiosità, che può portare al pericolo. La sua figura alta e massiccia è una slanciata ombra più nera della notte in cui siamo avvolti, un rilievo scuro alla luce dei lampioni di Rue des Fois. Emana un vapore che va a ferire la nebbia fredda e compatta di una lunga sera di gennaio. Mentre si avvicina, cerco di immaginarlo – non più l’aspetto, ora voglio sapere chi è dentro. Una casa in un posto lontano lasciata per cercare fortuna – una grotta del deserto, un ranch delle montagne rocciose, uno sperduto villaggio afghano? O una baita da eremita persa su uno dei nostri altipiani? Una famiglia ad aspettarlo – una moglie a cui manca, dei bambini che lo chiamano di notte, o solo un povero cane del tutto indipendente, ma affezionato a lui? – Sicuro è che non è di qui, non potrebbe. È il protagonista, ma del film sbagliato, è fuori posto in questa strada. Vi cammina con passi timidi, come quando si entra in una casa altrui e si ha timore di ciò che vi si può trovare, ma nello stesso tempo ha un andamento che vuole ostentare una sicurezza che pare proprio quella degli innocenti in un processo in cui si sentono coinvolti quasi per sbaglio, da cui sanno che usciranno puliti. Proprio così, è come se si sentisse coinvolto da cause di forza maggiore in una situazione sbagliata da cui però si sente capace di uscire. He per questo quell’aria preoccupata accanto a quel sorriso beffardo di trionfo. O almeno, così immagino. Non serve che una cosa per esserne sicuri: incrociare il suo sguardo. Ci sono persone di cui si può con uno sguardo immaginarne la storia – e sento che questo è uno di quegli individui. Uno di quelli che se li incontri sul tram magari non ti dicono nulla, ma che se li vedi comparire così, nel buio freddo e compatto di una sera di gennaio, ti incutono un certo rispetto e ti vien voglia di fermarti e dire: “Buonasera, signor Smith. Come sta la sua signora?”, o, nel caso in cui il tale Smith fosse uno di quegli amabili eremiti che parlano solo se hanno qualcosa da dire: “Buonasera, signor Smith.” senza aggiungere altro perché, con una persona così, non sarebbe il caso di scadere nell’ipocrisia dei saluti fatti per dovere. Oh, come sarebbe bello poter fermare quest’anima in pena che risale lentamente Rue des Fois e potergli dire con calore: “Buonasera, si ricorda di me?”. Ma sarebbe una follia, potrebbe essere chiunque. Potrebbe avere una mannaia affilata sotto quel tenero cappotto da cacciatore elegante. Potrebbe essere un pazzo che non ti lascerebbe tornare a casa senza averti prima turbato considerevolmente con la sua storia angosciosa e con i suoi tic da reparto psichiatrico da cui probabilmente è fuggito. Peggio ancora un parente non riconosciuto per via di questa dannata foschia. Sarebbe una vera follia – ma d’altronde quando mai l’essere umano si è lasciato condizionare positivamente dalla razionalità? Perfino Cristo, contro ogni logica razionale, si lasciò sacrificare. Quindi eccomi qui, in questa sera buia e fredda di gennaio, sola come un cane sul marciapiede gelato e scivoloso di Rue des Fois, a domandare con cortesia: “Buonasera, signor Smith, si ricorda di me?” ad un’imponente e misteriosa immagine, creata con incredibile perfezione soltanto dal mio sconsiderato cervello.
Irene Scali