Buy buy Lenin

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E’ il 9 novembre 1989 e un fiume di persone travolge i check-point per riversarsi in massa nella Westberlin. L’atmosfera è elettrizzata e milioni di persone osservano in diretta lo smantellamento del muro che per decenni aveva diviso in due la città di Berlino, allontanato fra loro amici, separato famiglie schierando su fronti opposti le grandi ideologie comunista e capitalista.

 

L’evento segnava la fine dell’era bipolare che aveva dominato lo scenario internazionale dal termine della seconda guerra mondiale, marcando con un segno indelebile il tramonto dell’utopia socialista. Le conseguenze non si fecero attendere e così, solo due anni dopo, il 25 dicembre 1991, i televisori erano nuovamente accesi, questa volta sintonizzati sul canale che trasmetteva in diretta l’ammainabandiera dello stendardo sovietico dal pennone più alto del Cremlino. Chi con una lacrimuccia che gli rigava il viso, chi con un sorriso compiaciuto sul volto, porgeva il suo ultimo saluto all’URSS, che all’indomani sarebbe scomparsa definitivamente dagli atlanti geografici. Quella data sarebbe rimasta impressa nella memoria di molti come la fine di un degno avversario, per altri avrebbe invece significato la discesa del sipario sulla scena di un grande sogno.

“Ma come?” si sarà domandato qualcuno, “dopo quasi mezzo secolo di Guerra Fredda, l’Unione Sovietica si congeda tutta composta e senza battere ciglio?”. La domanda è lecita: dopotutto nemmeno le più ottimistiche previsioni avevano immaginato un simile scenario. Basti considerare il fatto che mai prima d’allora una situazione di bipolarismo si era risolta col tacito ritiro di una delle due superpotenze dal panorama geo-politico senza colpo ferire. Atene e Sparta se le erano date di santa ragione fino all’ultimo momento, mentre il “Boston tea party” fu tutt’altro che una festicciola per gli inglesi. Qualcuno aveva probabilmente fatto osservare che sarebbero bastati i soli arsenali nucleari statunitensi e sovietici a distruggere tre volte l’intero pianeta… come se una volta sola non fosse sufficiente! In fin dei conti Gorbaciov si sarà pure meritato per qualche ragione il Premio Nobel per la pace (altro che Obama).

 

A vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino, i riflettori dell’attenzione mediatica sono invece focalizzati sullo svolgimento delle commemorazioni in ricordo di quel 9 novembre ’89. I vecchi volponi colgono la palla al balzo: tutti imbellettati e con sorrisi smaglianti stampati sul volto, i premier e leader politici dei paesi comunitari si fanno tra loro “politically correct sgambetti” per essere in prima fila di fronte alle telecamere. Alla fiera dei luoghi comuni sulla caduta del muro i vispi politichieri vomitano nei microfoni in mano ai giornalisti le solite frasi formali sul “miracolo tedesco” e sull’”importanza della democrazia impostata sul modello occidentale”. Probabilmente sono più interessati a scodinzolare in vista delle nuove nomine UE previste dal Trattato di Lisbona che a commemorare la riunificazione della Germania est e ovest.

Trovandomi travolto da questa ondata di buonismo, mi domando se davvero fossero queste le aspirazioni di quei giovani che, seduti cavalcioni sul muro e con gli occhi pieni di speranze, ci salutano dalle prime pagine dei giornali di questi ultimi giorni. “Qualcuno li deve avere fregati” mi viene da pensare. Volevano le libertà e le ricchezze del capitalismo ma senza pagare il prezzo di una società del rischio (botte piena e moglie ubriaca). Volevano magari solidarietà e la possibilità di vivere tranquilli, senza controlli da parte dello stato, senza dover continuamente dubitare di tutto e tutti. Volevano parlare liberamente ed esprimere le proprie opinioni, finalmente lontani dall’indottrinamento ideologico  e dalla cinica ipocrisia dominante. E’ triste doverlo ammettere da parte mia, ma probabilmente volevano anche solo assaggiare un benedetto hamburger da MerDonald’s bevendosi una sacrosanta coca-cola. In fin dei conti, secondo una maliziosa osservazione di Otto Schily, la nobile lotta per la libertà e la giustizia si è rivelata una specie di corsa frenetica alle banane e alla pornografia (introvabili nella DDR, ndr).

Comunque sia andata, avrebbero capito ben presto che dietro quel muro, l’albero della cuccagna dava frutti che sarebbero marciti troppo in fretta, trasformandosi in povertà, disoccupazione, crisi economiche, morboso consumismo e guerre umanitarie (il più subdolo ossimoro che ci sia), mentre i frutti maturi sarebbero poi finite nelle tasche dei soliti ingordi. Ad arricchire le fila di questi ultimi si sarebbero solo aggiunte poche persone che, al grido di “piatto ricco mi ci ficco”, hanno depositato senza troppi indugi coccarda rossa e bottiglia di vodka in un cassetto, sostituendole prontamente con Blackberry e Jack Daniels, riciclandosi dunque alla meglio come managers e demagoghi della democrazia… ma questa è un’altra storia.

 

Con questo non voglio dire che sia sbagliato commemorare la caduta del Muro di Berlino ma che forse, nel farlo, sarebbe bene ricordare tutti gli altri muri di cemento o ideali che sono stati innalzati per il mondo. Come aveva immaginato Huntington nel ’93 con lungimirante previsione sul corso degli eventi, dopo il tramonto delle ideologie con la fine della Guerra Fredda, i fattori culturali e religiosi avrebbero determinato le alleanze e gli antagonismi fra gli attori della politica internazionale: cambia la forma ma non la sostanza e intanto che il tempo passa ci abituiamo a riconoscere quei muri come parte integrante del paesaggio.

Abbiamo festeggiato il ventesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino. Bene: e adesso? Vogliamo aspettare altri trent’anni per osservare nuovamente impassibili la stessa messinscena al cinquantenario della caduta del muro, sfilate di politici incluse (e non dubitate che saranno più o meno gli stessi)? Nell’attesa del lieto evento continueremo a gonfiare le tasche dei soliti furbacchioni che fingono di commuoversi di fronte alla Brandeburger Tor per poi voltarsi e innalzare pareti su pareti.

Vendono armi in Afghanistan ai guerriglieri jihadisti e poi mandano la NATO a combatterli, le vendono alle diverse fazioni politiche militarizzate che costellano il continente africano, le vendono in Palestina agli israeliani, ai libanesi e all’ANP, le vendono nel Kashmir a indiani e pakistani, le vendono agli armeni e agli azerbaigiani, le vendono alle gang salvadoregne perché possano continuare a scannarsi fra loro. L’elenco potrebbe andare avanti per diverse pagine e intanto i muri che si sono innalzati tra le popolazioni dell’allegro mondo globalizzato ci mostrano quanto la Muraglia Cinese a confronto non sia che pochi mattoncini messi l’uno sull’altro.

A noi “civili” occidentali, che abbiamo il merito di aver più dobloni nei forzieri rispetto a quei cialtroni pezzenti del terzo mondo sopracitati, è riservata una strategia un po’ diversa nonché elitaria: a noi vendono l’ignoranza, la disinformazione, la solitudine, l’isolamento e la paura del diverso…e la cosa più triste è che le acquistiamo senza rendercene realmente conto. Ci vendono televisori ipnotizzanti (899 €) e decoder (149 €) per poterci imbambolare comodamente seduti su divani lussuosi (1590 €) e fissare inebetiti i nostri calciatori preferiti (80 milioni di € cadauno) grazie al pacchetto abbonamento “Premium Calcio” (18 € al mese). Per tutto il resto c’è Monstercard, la prima carta di credito o debito che sia, che a ogni intervallo pubblicitario tra un reality e l’altro sborsa tra i 10.000 e i 30.000 € per mandare in onda uno spot cretino. Ci vendono poi cellulari e ci fanno credere che grazie ad essi si accorciano le distanze fra le persone. Peccato che quei telefonini siano ormai più equipaggiati dell’ispettore Gadget (era molto ben equipaggiato per chi non lo sapesse, ndr) e che tendenzialmente li utilizziamo per tutto meno che per telefonare. Ad un tratto ci si accorge di essere seduti in un salotto pieno di alambicchi-HD ma non abbiamo nessuno con cui guardare la partita. Allora impugniamo il cellulare e ci rendiamo conto che volendo potremmo chiedergli di farci i pop-corn, ma che dopotutto ce li dovremmo mangiare da soli perché abbiamo scordato chi sono la metà delle persone salvate in rubrica. Ci sentiamo un po’ tristi, un po’ soli. E’ comprensibile: vorremmo parlare con qualcuno ma c’è poco da dirsi… e così deve essere. Soluzione? Shopping! E ci siamo cascati di nuovo: le barriere che creiamo intorno a noi stessi diventano man mano più alte e ci isoliamo sempre di più l’uno dall’altro.

Vendere, vendere, vendere. Tutto segue un’unica logica: quella del profitto. Buy buy Lenin.

 

Quando qualche giorno fa un mio amico mi ha domandato chi avesse vinto la Guerra Fredda, mi è venuto spontaneo rispondere “quasi nessuno”.

 

Sergio Casto (ex 5D – a.s.  2008-2009)

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