Capriole sulla moquette rossa

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turchia-397Istanbul. Già  il cielo di un azzurro intenso ti accoglie e ti proietta in nuovi profumi e sapori, di una terra che sogna e fa sognare. Le strade, i volti, gli occhi scuri della gente ricordano quell’impero, culla della civiltà e dell’arte. E’ generico dire cultura orientale, ciò che si vede e si sente in quei luoghi si può solo rivivere nel ricordo di un paese magico che ancora oggi mantiene quel fascino irresistibile fatto di mille colori. La maggior parte della popolazione è musulmana ed è forse anche grazie alla religione che le città aumentano la curiosità nei visitatori perché è impossibile non incantarsi di fronte alla moschea blu e ai suoi cartigli dorati che rievocano passi del corano. Al suo interno un momento intimo di ogni credente con il proprio dio ma nessuna pretesa: c’è chi prega, chi guarda soltanto e i bambini fanno capriole sulla morbida moquette rossa.

 

La cultura turca si respira nell’aria,nei palazzi decorati e nei sorrisi dei bambini. In ogni angolo delle strade ci sono carretti che offrono dolci tipici o castagne arrostite e ti guardano sperando di vendere qualcosa ma quei carretti sono spesso ancora pieni la sera. Ci sono momenti in cui sembra di essere in un luogo ultraterreno: nessuno corre freneticamente da una strada all’altra, nessuno ti guarda con sospetto ma con curiosità e tutti regalano un pezzo della propria storia anche solo guardandoti, senza egoismo, senza secondi fini. La musica è un legame che unisce tutta la popolazione,dai più giovani ai più vissuti ed è quell’arte che accompagna nel folklore della Turchia a coinvolgerti e trascinarti.

La bevanda alcolica tipica è il Raki, un’acquavite aromatizzata all’anice che viene servita liscia o con l’aggiunta di acqua e ricorda molto l’ouzo greco. Nel bazar sembra di camminare su una tavolozza di colori e anche questo luogo è molto particolare perché la trattazione per l’acquisto avviene ( inspiegabilmente per gli occidentali) davanti al tipico çay alla mela offerto dal proprietario del negozio. Il tè viene bevuto durante tutta la giornata in qualsiasi orario e spesso in giro per la città si vedono bicchieri appoggiati vicino alle piante, probabilmente dimenticati dalla persona che ne ha bevuto.

Fuori dai ristoranti, personaggi molto insistenti  offrono il menù e se trattando si arriva ad un giusto accordo ci si può accomodare all’interno o fuori se ce n’è  la possibilità.

Fuori dalle moschee i fedeli si lavano prima di entrare a pregare ed è bellissimo vedere come le voci assomiglino a quelle dell’estremo sud italiano: in fondo ogni mondo è paese, no?

La moschea blu è molto particolare per via dei suoi sei minareti e delle 260 finestrelle che illuminano l’interno rendendolo magicamente mistico. E’ stata voluta dal sultano Ahmet I (XVII secolo) che voleva esprimere con questa moschea tutta la sua magnificenza e oltre a ricoprirla di maioliche che vanno dal blu al verde fece appunto aggiungere due minareti supplementari.

Poco distante dal monte Ararat, sul confine con l’Iran, un altro esempio di architettura che toglie il fiato: il palazzo di Ishak Pasa sempre del XVII secolo. In questo castello morì Beyazit I Yildirim, prigioniero dei mongoli ma venne costruito per l’emiro curdo Ishak Pasa che lo volle come sua residenza estiva. L’ampio ingresso decorato con motivi tipicamente ottomani introduce nell’ambiente e visitandolo sembrerebbe di entrare nel regno del principe e le sue figlie che muovendosi a ritmo di musica ti portano lì dove regna il silenzio e la vista delle colline lascerebbe  senza parole anche il più rozzo tra gli uomini.

 

Dogubeyazit è un piccolo paesino che ha tanto da offrire e sembra il villaggio descritto da  Yashar Kemal nel suo romanzo “Memed il falco”. Semplice, ancorato alla tradizione ma aperto alle nuove culture, è un luogo dove l’ospitalità è d’obbligo e i bambini aprono i tuoi occhi su un mondo nell’occidente ormai estinto, fatto di giochi nel fango sotto la pioggia.

Le donne non portano tutte il velo ma soprattutto le ragazze sono quelle che lo portano meno. Recentemente si sono presentati in Turchia avvenimenti atroci a causa del velo: alcune giovani studentesse non sono potute entrare nell’Università poiché indossavano questo foulard. La ragione è che il paese è laico e per questo è vietato entrare velate in luoghi pubblici.

Sebbene la mentalità sia molto aperta, molti uomini sono dell’opinione che non sia un indice positivo il fatto che una donna fumi (che sia narghilè o che siano sigarette) ma il fatto di non essere del posto “scagiona” in qualche modo dall’aver provato. Le famiglie sono in genere molto numerose ma l’attenzione ad ognuno non manca mai perché sono tutti molto uniti forse perché è in quei luoghi che si capisce davvero cosa significhi vivere in un paese in guerra e saper guardare comunque avanti.

Sono numerosi gli scrittori turchi che si sono fatti strada nell’occidente e tra questi bisogna nominare Pamuk Orhan, autore di “Istanbul” e “Neve”. Descrive nelle sue celebri opere, ciò che lui in prima persona ha vissuto quando era bambino e inoltre affronta tematiche come il conflitto tra oriente e occidente quindi di carattere più politico ma anche le atmosfere che si vivono ad esempio ad Istanbul:  « Ho trascorso la mia vita ad Istanbul, sulla riva europea, nelle case che si affacciavano sull’altra riva, l’Asia. Stare vicino all’acqua, guardando la riva di fronte, l’altro continente, mi ricordava sempre il mio posto nel mondo, ed era un bene. E poi, un giorno, è stato costruito un ponte che collegava le due rive del Bosforo. Quando sono salito sul ponte e ho guardato il panorama, ho capito che era ancora meglio, ancora più bello di vedere le due rive assieme. Ho capito che il meglio era essere un ponte fra due rive. Rivolgersi alle due rive senza appartenere  » (O.Pamuk, Istanbul, 2003).

Come potersi dimenticare invece di un celebre poeta come Nazim Hikmet che riuscì ad opporsi al regime di Ataturk ma venne imprigionato e torturato e nonostante ciò continuava a cantare e a far rivivere le sue emozioni attraverso le sue poesie.

 

Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
sei la mia carne che brucia
come la nuda carne delle notti d’estate
sei la mia patria
tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi
tu, alta e vittoriosa
sei la mia nostalgia
di saperti inaccessibile
nel momento stesso
in cui ti afferro

(N. Hikmet)

 

turchia-358Passione, malinconia, speranza, le emozioni non sono banali appunti di un qualsiasi diario ma  ciò che trasmette questa terra chiamata Türkiye è un mescolarsi di culture che si riflettono negli occhi scuri di quei bambini che si sporcano nel fango e fanno capriole sulla moquette rossa della moschea blu.

Guardando gli occhi scuri dei bambini forse diventando noiosa, ripeterò all’infinito quanto di quella stupenda terra riescano a trasmettere. Alcuni tristi, altri curiosi, tutti intensi, speciali.

Altro che diamanti, un sorriso è per sempre.

Si sente ancora sul braccio la pressione di quella manina così piccola ma così tenace che mi teneva silenziosa. Ancora oggi sento le loro grida felici e la sua pressione sul mio braccio. Ancora oggi ricordo quanto è stata dura guardarli alle mie spalle perché sono stati loro il senso del mio viaggio. Loro hanno dato un senso alla “mia” Turchia.

 

Isabella Sini (3D)

 

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