A gennaio, durante l’annuale “Notte Nazionale del Liceo Classico”, il Convitto Nazionale Umberto I ha invitato lo storico e scrittore torinese Carlo Greppi per discutere a proposito di “ospite, straniero, migrante”. Partendo dalla lettura del suo romanzo per ragazzi Bruciare la Frontiera (Feltrinelli 2018), la redazione di UmberTimes ha intervistato l’autore approfondendo temi come l’accoglienza e l’etica in relazione al fenomeno dell’immigrazione, tema centrale dell’evento. Greppi si occupa da sempre di argomenti riguardanti la storia della Resistenza Italiana ed è inoltre presidente dell’Associazione Deina Torino, che ogni anno organizza viaggi ‘della memoria’ e di istruzione ad Auschwitz e in altri ex lagerdel Terzo Reich alla scoperta della loro storia.
Bruciare la frontiera non è solo un romanzo per ragazzi, ma ha anche un taglio storico e politico, intenso e avvincente, quanto attuale. Sfogliandone le pagine non si può fare a meno di immedesimarsi nei protagonisti: giovani, sognatori ma soprattutto umani e veri, da rendere impossibile l’indifferenza. Come si può negare una possibilità a chi, mettendo a repentaglio la propria vita, lotta per un futuro migliore? La lettura del suo libro ci ha scossi, e la redazione si è animata di domande, stupore e preoccupazione; scegliere cosa chiedere a Carlo non è stato per nulla semplice, troppi erano i punti salienti e gli argomenti scottanti presenti nel romanzo. È il nostro comune passato fascista a dettare i comportamenti spesso razzisti degli italiani? O sono forse i leader mondiali a fomentare l’odio per gli stranieri? E soprattutto, come si possono cambiare le cose? E come bisogna comportarsi?
Abbiamo deciso di lasciare la parola a lui, che ha tenuto tutti incollati alle sedie per quasi due ore. La situazione è veramente tragica: l’Unione Europea in questo periodo è più simile a un impalpabile spettro sanzionatore piuttosto che a un organismo concreto che opera per il benessere comune delle nazioni, pronto a spalleggiare l’Italia in questo stato di difficoltà; il fenomeno del caporalato, poi, continua a dilagare facendo perno sulla vulnerabilità dei migranti e i politici nazionali fomentano il razzismo a suon di tweet e selfie su Instagram.
“Su quei barconi ci sono persone, non numeri, sono persone che hanno dei sogni, che ascoltano la musica e che si grattano la testa quando pensano, sono persone come tutti noi” afferma Carlo, iniziando a scaldarsi appena la discussione prende una piega politica; ma d’altronde come si potrebbe stare calmi affrontando temi del genere? I leghisti, echeggiando vecchie frasi fasciste, parlano alle masse sfruttando i social; sono orecchiabili e accessibili e fanno breccia con slogan che parlano troppo spesso di ruspe, zecche rosse e porti chiusi. “Ma come si possono chiudere i porti? Non lo sanno forse che rendere impossibile l’ingresso in Italia spingerà milioni di persone ad affidarsi ai malavitosi – italiani e non – per riuscire a varcare il confine? Ma non si rendono conto che rispedirli indietro significa mandarli a morte certa? E Salvini – qui Carlo si accalora – si fa le foto con i ragazzini in stazione, che lo trattano come se fosse un amico, un idolo o un modello da seguire. Persino al sud ha un vasto seguito, nonostante prima fossero i meridionali il bersaglio del suo scherno”. A fine incontro, anche dalla platea si sono alzate voci indignate. Accettare lo stato delle cose non è certamente facile, specie quando l’impatto con la realtà è tanto forte quanto la voce di Carlo, che sul finire del discorso smette di contenersi, mentre le parole gli scivolano dalle labbra a velocità supersonica e con vigore. Forse, però, all’abbattimento delle frontiere fisiche non seguirebbe quello delle “frontiere mentali” ed è per questo che non dobbiamo smettere di combattere il razzismo. “Vi assicuro che conoscere nuovi posti è bello, io nella mia vita ho avuto la possibilità di incontrare persone di culture e lingue diverse e vi garantisco che è stato una figata! Non credeteci quando vi dicono che i migranti vengono qui per rubarci il lavoro e invadere le nostre case. Alla fine, cosa ci rende italiani? È forse la lingua che parliamo? Insegniamogliela. I loro sono paesi che noi europei abbiamo sfruttato fino all’osso.” E ancora, “non possiamo ignorare le migliaia di morti in mare, abbiamo raggiunto cifre di guerra e proprio come in guerra i politici stanno iniziando a cambiare i termini con cui si riferiscono alle persone, alle misure da prendere, ai muri e ai fili spinati.” Sentirlo parlare è stato stimolante per tutti perché solo attraverso il dialogo con altri e la riflessione si ha la possibilità di formare o rafforzare le proprie opinioni, continuando a crescere.
Non rimane che chiudere, prendendo spunto proprio dalla chiusura di Bruciare la frontiera: “Tutti quei chilometri per ritrovarmi qui. ‘Passerà’, mi dicevo, questa vita rasoterra, dove mi nascondevo come un criminale. vivevo nella penombra, aspettando un domani che non arrivava mai.”[Saloua Ben Abda e Wissem El-Abed. Les bruleurs de frontières, 2010]
Giulia Vigoriti