“L’Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare.”
Con queste parole, il 26 gennaio 1994, Silvio Berlusconi iniziava un discorso lungo nove minuti in cui annunciava la propria candidatura alla Presidenza del Consiglio.
“Insieme abbiamo salvato l’Italia dal disastro. Ora va rinnovata la politica. Lamentarsi non serve, spendersi sì. “Saliamo” in politica!”
Con questo breve tweet Mario Monti, Presidente del Consiglio uscente, ha dichiarato, lo scorso Natale, l’intenzione di candidarsi a queste elezioni.
Fra la discesa in campo del Cavaliere e la “salita” del Professore c’è un ventennio: la Seconda Repubblica. Vent’anni in cui la dialettica politica è stata indissolubilmente legata ai salotti televisivi: dalle interminabili puntate di “Porta a Porta”, alle indimenticabili telefonate in diretta di Berlusconi, passando per la spettacolarizzazione della politica. Memorabile il programma “Torte in faccia” condotto da Pippo Franco, in cui deputati, senatori e ministri si scagliavano l’un l’altro torte alla panna, affiancati dalla solita soubrette mezza nuda.
Con l’ingresso nelle case italiane del televisore, simbolo e mezzo di un modello di vita esportato da Oltreoceano, negli scorsi decenni ogni attività attinente alla sfera pubblica o privata della vita veniva proiettata nel tubo catodico. Oggi, soprattutto nelle fasce più giovani della società, siamo, però, di fronte ad un’inversione di tendenza: il web sta soppiantando la tv. La fruizione di video musicali si sposta da MTV a YouTube, la propaganda dai comizi via cavo ai “mi piace” di Facebook: persino il Papa è su Twitter e il suo account @Pontifex ha recentemente superato i due milioni di follower. Ritornando alla politica, il Movimento 5 Stelle di Beppe Gillo, che non può essere trascurato nel panorama politico attuale visto il 10% circa dei consensi attribuito da vari sondaggi, è nato ed è stato plasmato nella rete. A onor del vero, internet non riesce ancora a fornire spettacoli così emozionanti come innegabilmente è stato il duello Santoro-Berlusconi, da alcuni commentatori televisivi definito come canto del cigno del rapporto fra propaganda e televisione.
È vero che il web 2.0 è più democratico, e favorisce la libertà di espressione, di opinione, di informazione, e aiuta effettivamente a combattere l’analfabetismo di ritorno, e contribuisce realmente allo sviluppo di un’opinione critica ed indipendente, e dà la possibilità alle masse di far sentire la propria voce.
A questo punto, però, arriva il mio “j’accuse”, le mie obiezioni: la possibilità di informarsi esclusivamente in base ai propri interessi non inficia uno sviluppo a tutto tondo dell’individuo? Lo spostamento dello scenario politico sulla piattaforma virtuale non esclude dalla partecipazione democratica quelle fasce della società che non hanno accesso al web? La tanto invocata democrazia diretta figlia della digitalizzazione non rischia di diventare una demagogia digitale?
C’è chi sale e c’è chi scende. Internet è in rapida ascesa e la tv si affaccia ad un lento declino. C’è chi sale e c’è chi scende. Il debito pubblico sale, il PIL scende. C’è chi sale e c’è chi scende. E riguardo a “salite” e “discese” in politica mi limito a dire -ancora una volta- che “C’è chi sale e c’è chi scende…” e il resto è d’avanzo.
Valerio Pace (4D)