No one should because they don’t have healthcare, no one should go broke because they get sick.
Con la recente elezione di Barack Obama alla presidenza della Casa Bianca, è stato presentato il nuovo piano di riforma sanitaria americana. Il nuovo programma del presidente si basa su tre punti fondamentali: aumentare il numero di coloro che possono beneficiare di “Medicaid”, l’assistenza sanitaria destinata ai poveri; creare una National Health Insurance Exchange, ovvero un’unione di assicurazioni a livello nazionale che permetta alle famiglie di ceto medio-alto un risparmio annuo considerevole sulle spese mediche e infine vietare ad ogni compagnia assicurativa la possibilità, fino ad ora largamente sfruttata, di negare una copertura sanitaria ad individui che presentino una “pre-existing condition”, ovvero siano affetti da malattie croniche preesistenti. Inoltre, Mr. Obama ha anche promesso di porre maggiore attenzione all’operato delle case farmaceutiche, cercando di ridimensionare i costi esorbitanti, pari quasi al doppio dei prezzi europei, dei medicinali. Naturalmente la riforma richiederà un dispendio considerevole di energie, di tempo e di denaro: in pieno periodo di forte crisi economica, questa “rivoluzione” peserà sulle spalle dello Stato dai 60 ai 120 milioni di dollari, secondo gli esperti, e comincerà a dare i propri frutti non prima del 2010, lasciando, malgrado tutti gli sforzi, una percentuale ancora troppo alta di Americani senza alcun tipo di assistenza medica. È su questi punti che gioca la campagna anti-riformista dei repubblicani: il costo di tale progetto inciderebbe pesantemente sui 3 mila miliardi di dollari di debito pubblico americano.
Una riforma è, in ogni caso, assolutamente necessaria e la risolutezza del presidente è testimoniata dalle numerose e spassionate dichiarazioni fatte il 10 settembre 2009 in una conferenza alla quale presenziava anche la vedova Kennedy. “Non sono il primo presidente americano che si batte per la riforma sanitaria, ma sono determinato ad essere l’ultimo” dichiara, e poi aggiunge: “Nessuno dovrebbe morire perché non ha un’assistenza sanitaria. Nessuno dovrebbe andare in fallimento perché si è ammalato”. Quest’ultima frase è molto toccante se si considera la situazione difficile dell’infanzia di Barack Obama: la madre, Stanley Ann Dunham, morta per cancro alle ovaie, soffrì a lungo a causa di questa malattia, poiché le lunghe e costose cure richieste erano difficilmente tollerate dalle assicurazioni. L’idea che deriva è terrificante: le compagnie assicurative preferiscono pagare per operazioni chirurgiche o interventi “una tantum”, piuttosto che sovvenzionare trattamenti cronici o terapie frequenti. Si alimenta dunque l’idea che la bellezza è preferibile alla salute, che l’apparenza è più conveniente dello star bene, mentre le famiglie pagano letteralmente il prezzo di essersi ammalate. Si spinge dunque una popolazione, già fin troppo bombardata dalla televisione, a ricercare la perfezione estetica, a scegliere un intervento di liposuzione, piuttosto che mettere da parte denaro per sistemare altri problemi. Difficilmente, tuttavia, si riuscirà ad estirpare completamente queste assicurazioni: sono una fonte di denaro troppo grande e la componente repubblicana tenterà di porre il proprio veto, come accadde già alla riforma sanitaria voluta da Hilary Clinton. L’ex presidente (repubblicano) George W. Bush bloccò durante il suo mandato l’estensione dell’assicurazione pubblica Ship a chi aveva un reddito inferiore ai 60 mila dollari invece dei 40 mila precedenti, , lo stesso uomo che dichiarò guerra all’Iraq spendendo 620 miliardi di dollari e pagando, ogni anno, 500 miliardi di stipendio all’esercito. Nonostante i tanti difetti imputabili all’Italia, per fortuna la sanità, per quanto riguarda i costi e l’accessibilità, non è fra questi, ma bisogna pur sempre fare attenzione a chi sa solamente parlare di tagli alla sanità.
Giulia Porcellana (5A)