City per modo di dire

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Quando ci si immagina gli Stati Uniti, si pensa sempre alle grandi metropoli come New York, Los Angeles, Chicago, Seattle. Enormi, moderne e caratterizzate dagli altissimi grattacieli, e dai piccoli paesini di campagna in mezzo alle praterie, dove si svolgono fiere e si balla a ritmo musica country. Ciò a cui invece non si fa riferimento è la forma di organizzazione che prevale, ovvero la suddivisione del territorio in aree suburbane, come quella in cui sto vivendo io. Sulla carta, o meglio, su Wikipedia, Chesapeake, Virginia, era descritta come una città di 230mila abitanti, all’incirca come Padova, quindi non mi aspettavo una metropoli, ma una cittadina non troppo piccola. Quello a cui non avevo prestato attenzione era la superficie della città: 880km2. Come sia possibile che una città misuri un’estensione così grande? In pratica, di città come intendiamo noi c’è ben poco, ma tutto è “spread out”, ovvero allargato e sparso. Innanzitutto, è divisa in diverse aree principali, che a loro volta sono divise in neighborhoods, in cui ogni famiglia ha la propria casa unifamiliare, più o meno grande a seconda delle capacità economiche, con giardino, ma che sono completamente separati dai grandi magazzini, negozi e supermercati, che sono situati in aree commerciali. Le distanze tra i vari quartieri o strutture, però, non sono camminabili. In primo luogo per la lunghezza, e poi per il fatto che sono collegati solo tramite autostrade e statali. Il tutto è costruito in funzione delle auto. Il trasporto pubblico, inoltre, è praticamente inesistente e, dal momento in cui per arrivare in qualunque posto fuori dal neighborhood sono necessari almeno 10/15 minuti di macchina, una persona con meno di 16 anni o che non possiede una macchina non può definirsi indipendente. Così mi è venuto il dubbio di come sia stato possibile lo sviluppo di “città” come questa, come sia possibile che tutti siano obbligati ad avere un’auto e che le persone non sentano la necessità di avere una panetteria, un giornalaio o un bar sulla propria via, a cui possano andare a piedi ogni mattina. Indagando, ho scoperto che realtà come Chesapeake sono nate e diventate molto comuni negli Stati Uniti negli ultimi 20/30 anni circa, quando i residenti più benestanti delle città hanno deciso di spostarsi nella loro seconda casa o di costruirne una nella cintura suburbana in modo da avere più spazio, ma mantenendo il proprio lavoro negli uffici all’interno della città. Questo fenomeno è diventato sempre più popolare, al punto che le città si sono svuotate e sono rimaste semplici zone lavorative. Allo stesso modo i negozi si sono trasferiti al di fuori di essa, raccolti in centri commerciali o in grandi piazze con i principali magazzini situati, in media uno per area, più o meno a metà strada tra i vari centri abitati. Con essi anche i fast food, le catene di ristoranti, le banche e le farmacie hanno aperto lungo le principali strade di collegamento, naturalmente tutti dotati di “drive through” per evitare ogni movimento fisico. La caratteristica positiva di questa organizzazione urbanistica è l’abbondante spazio lasciato alla natura, nei giardini delle case e nei boschi e campi ai bordi delle strade. Il fattore negativo, d’altra parte, è la dipendenza che le persone hanno, per forza di cose, dalle auto, senza le quali sarebbe impossibile vivere qui, e che, dato anche dal basso costo della benzina e dall’esagerata dimensione media delle macchine, provocano un alto inquinamento dell’aria ed un costante traffico. Così abituati alla comodità delle automobili, che vengono trattate come gioielli e sulle quali vengono portate avanti discussioni senza fine sulla superiorità delle Mustang piuttosto che delle Chevy, gli americani non sembrano fare caso alla quantità di smog che emettono ogni giorno. Forse troppo impegnati nel contare i passi che fanno per paura di stancarsi, o rassicurati dall’abbondante natura circostante. Questo tipo di organizzazione suburbana delle città è una peculiarità unica americana, di cui non si trova imitazione in nessun altra parte del mondo. Per alcuni di loro è un vanto, a parer mio ci sono valiti motivi per cui questo fenomeno non si è sparso. La mia domanda è: “Vale davvero la pena sacrificare la libertà di movimento, per un po’ di giardino attorno a casa propria?”

Luisa Mosso (4F)

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