Compiti estivi: necessità o virtù?

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La scuola è cominciata e ormai gli studenti di tutte le età hanno trovato modo di rientrare (non senza rammarico) in quella realtà che avevano lasciato (non senza gioia) a giugno. I professori, onde evitare che l’atmosfera generale (non eccessivamente allegra) portasse tutti in depressione, hanno deciso di ravvivare un po’ l’ambiente rievocando l’estate tramite la correzione dei compiti assegnati durante le vacanze. Grazie all’applicazione di questo fine espediente psicologico gli studenti sono sì usciti dalla depressione, ma per entrare in uno stato di stress e iperattività.

I docenti, d’altronde, si sono tenuti abbastanza liberi nel programmare le scadenze di consegna dei lavori svolti, sostenendo che- in fondo- “Non c’è nulla da fare che non sia già stato fatto quest’estate”. Questa frase, che viene erta a scudo contro qualsiasi forma di protesta per la programmazione di una nuova scadenza o compitino, dà per scontato un punto essenziale: che gli studenti abbiano effettivamente svolto i compiti.

Abbiamo chiesto ad un campione di 50 studenti del nostro Liceo Classico Europeo di dichiarare (in forma anonima) lo stato dei loro compiti estivi: nessuno degli intervistati ha eseguito interamente il complesso degli esercizi assegnati. Abbiamo allora chiesto se avessero almeno svolto la metà dei compiti assegnati: il 52% ha dato risposta negativa.

E’ strano che durante un compito in classe i professori che riescono a vedere anche solo l’intenzione nella tua mente di copiare dal vicino, per un argomento così importante facciano finta di avere le fette di prosciutto sugli occhi. Di fronte a questa scioccante verità, infatti, qualsiasi professore si limita a lanciarsi in una difesa a spada tratta del “lavoro estivo”, snocciolando argomenti a suo favore.

Direbbe prima di tutto che lui (o lei), essendo il docente, ha tutto il diritto di assegnare i compiti e quindi di pretenderli; in seguito che è un modo per tenere la mente in esercizio e non scordarsi le nozioni apprese durante l’anno o, ancora, che è bene non abbandonare mai completamente lo studio.

Gli alunni, che fino ad ora restavano spiazzati di fronte a cotanta abilità retorica, oggi possono contare sul parere esperto del professore Italo Farnetani, niente meno che pediatra, giornalista pubblicista e docente all’università Bicocca di Milano. Egli, infatti, è totalmente contrario ad ogni forma di compiti od attività “scolastica”, scrivendo sul sito internet www.ambulatorio.com che il discorso dei compiti delle vacanze non solo è sbagliato, ma addirittura rischioso.

Prima di tutto sostiene che i compiti- essendo svolti in un ambiente diverso da quello scolastico- possano erroneamente abituare in modo superficiale e svogliato, tendenza che- se trascinata lungo il successivo anno scolastico- è disastrosa.

In secondo luogo i compiti costituiscono un legame forte con la scuola: non scioglierlo ostacola il totale abbattimento della tensione e dello stress. Ora, i professori risponderebbero subito che quest’ultimo è un fenomeno positivo perché spinge a dare il massimo, ignorando che esso ha numerosi effetti negativi.

Per gli scettici, il sito www.scuolasenzastress.it fornisce un chiaro (e inquietante) elenco dei danni: vulnerabilità a livello fisico (ovvero esposizione alle malattie, insonnia, appetenza, cefalee..), diminuzione dell’intelligenza, dell’attenzione, della memoria, della capacità di apprendimento e dei risultati scolastici, nonché l’aumento dell’uso di alcol e droghe.

A sfavore dei “compiti estivi”, inoltre, ci sarebbe proprio il fatto che siano “estivi”. In un’intervista apparsa sul Corriere della Sera del 12 maggio 2008 lo stesso prof. Farnetani commenta: “L’estate non è il periodo adatto per studiare: le alte temperature creano nell’organismo uno stress fisico”.

Il riposo estivo, inoltre, è necessario anche se visto da un punto di vista biologico: l’uomo lavora e si riposa, senza bisogno di cercare il riposo nel lavoro né il lavoro nel riposo. In altri termini: noi possiamo stare svegli tutto il giorno senza schiacciare un pisolino, ma è anche vero che noi possiamo (anzi, è auspicabile) dormire senza interruzioni. Non c’è bisogno di svegliarsi ogni due ore di notte per ricordarsi com’è che si sta svegli.

Allo stesso modo, una pausa di due mesi e mezzo non può fare che bene, se viene dopo nove mesi di duro lavoro.

Nel caso in cui, infine, i docenti più estremisti non cambiassero ancora idea, basta ricordare che se si aboliscono i compiti alla fine c’è meno lavoro anche per loro: ogni ulteriore resistenza verrà meno, e agli alunni resterà il piccolo piacere della vittoria.

 

Andrea Gallo Rosso (5A)

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