Ancora appeso nelle bacheche e sulle pareti dei corridoi, un modernissimo disegno presenta l’evento dello scorso mese: la settimana delle scienze. Oltre a specificare che a esserne protagonista sarebbe stata la nostra scuola, il meraviglioso “poster” anticipa le attività proposte dal nostro amato Convitto: laboratori interattivi, conferenze ed exibit.
Ma passiamo a cosa sia realmente stata la settimana scientifica, almeno per quanto riguarda me e la mia classe. Lo scambio ha certamente occupato gran parte dei nostri pensieri, ma nonostante tutto abbiamo potuto partecipare all’evento nelle prime due giornate. Il nostro gruppo classe si è decisamente orientato sugli exibit, decidendo di dividersi in due gruppi, in base alle materie scolastiche. In realtà i gruppi sono finiti presto per diventare più numerosi del previsto, e ognuno di questi era in possesso di un ben preciso argomento da esporre ad un altrettanto preciso gruppo di persone: i bambini delle elementari. Se pensate che lavorare a un progetto simile sia facile, be’, forse avete anche ragione: è davvero facile se non si ha intenzione di trarre qualche vantaggio personale dal proprio lavoro, qualcosa che vada al di là di una valutazione scolastica e che possa essere collocato sugli scaffali dell’esperienza personale. Ma sono quasi certa che i numerosi pomeriggi dedicati a questo lavoro dimostrino l’importanza di impegno e collaborazione.
Al gruppo cui appartenevo è toccato occuparsi del buchi neri. In realtà avremmo dovuto scegliere il nostro argomento, ma tutto ciò che rimaneva erano appunto i buchi neri. Non so quanto sappiate sui buchi neri, ma probabilmente non vi siete persi molte informazioni. Di fatti è un argomento molto vago di cui è difficile parlare con molta certezza e sapevamo che raffigurarlo lo sarebbe stato ancora di più. Lo è stato, però, soltanto fino a quando non abbiamo avuto un’idea geniale, credo perfino di aver visto una lampadina accendersi sopra le nostre teste. Nel giro di due settimane circa siamo diventati maghi, geometri, architetti, ingegneri e, nel caso, anche fotografi (provate ancora a dire che noi del classico non impariamo a fare nulla di concreto). Quando è arrivato il grande giorno, mercoledì 10 aprile, i bambini delle elementari si accodavano di fronte al nostro stand impazienti di avere tra le mani la sorte di dodici pianeti. E con pianeti si intende palline di plastica dipinte a tempera, pronte a essere risucchiate dai buchi neri. Il nostro stand consisteva praticamente nel lancio di palline in tre scatole da scarpe, il che può risultare banale se si omette che le scatole erano coperte da un cartellone nero e simulavano dei buchi neri. Una breve introduzione, due opportunità a testa e un cioccolatino a forma d’uovo (residui della Pasqua appena trascorsa) per ogni lancio azzeccato. Dopo aver esultato per la buona mira, era il momento del secondo premio: risposte a domande sui buchi neri.
È stato un pomeriggio divertente ma anche impegnativo, considerando soprattutto che l’ho prevalentemente passato seduta “dietro le quinte”, intenta a raccogliere le palline risucchiate dai buchi e collocarle in una quarta scatola, la galassia d’arrivo. Alla fine dell’orario scolastico del nostro piccolo pubblico, lo stand ha continuato ad essere frequentato dai nostri coetanei, delusi dal fatto che gli unici cioccolatini rimasti fossero quelli fondenti. Chissà se avremo la possibilità di fare un altro lavoro simile il prossimo anno … Nel caso inizio a mettere da parte scatole, cartoni, colori e cioccolato al latte.
Diana Ciobanu (1B)