Scrivere la recensione di un album d’esordio di un gruppo hip-pop non è cosa da poco. Almeno per me, dalle orecchie così abituate ai suoni e alle pentatoniche di una Stratocaster o di una Les Paul. Se poi la band in questione presenta facce conosciute sui banchi di scuola, il tutto diventa decisamente arduo. E se le facce in copertina sono quelle di tre ex-allievi … allora tutto si complica drammaticamente. Come poter parlarne male, senza passar subito per il solito prof severo (e anche un po’ datato)? Oppure, come poter elogiarli, senza essere subito tacciato di “ecco, dice così perché li conosce (e gli ex sono sempre più bravi)”? Come riuscire a rimanere imparziali, lucidi e indifferenti di fronte a tali questioni? Ne va della propria reputazione! Ma, come diceva un vecchio saggio in attimi di indiscutibile lucidità tra il quarto e il quinto bianchino: “Si può essere oggettivi? Soggettivamente, sì!”
Partiamo dal titolo: “Da zero a dieci”. Bello! Mi piace. D’impatto. Sì lo so, lo ha già usato Ligabue nel 2002 … ma quello era un film, quindi non vale! Qui non c’entra niente! Le immagini (le mie, s’intende), sono subito chiare. Una scala di valori, un podio di metafore esistenziali, una vita al rallentatore, un percorso a tappe. Ma anche, semplicemente numeri. E così mi piace leggerlo: numeri che per cinque anni hanno accompagnato la vita quotidiana di tre studenti seduti dietro a banchi che inconsapevolmente prestavano il proprio dorso ad ore di appunti. O più che altro ad ore di parole che pian piano diventavano musica? Numeri che hanno segnato la vita di Alessandro, Andrea e Vittorio (visto che non siamo in classe il cognome non serve per l’appello). Numeri che sono diventati musica, parole … le canzoni dei Nasty White. Mi piace pensare che qualcuno dei testi dell’album sia nato di nascosto, clandestino tra le pareti di classe, durante giornate grigie segnate da lezioni noiose. E se non è così, poco importa. I testi – dal primo all’ultimo – giocano di continuo con figure retoriche e tante, tante letture (persino papà Dante), e, in fondo, testimoniano direttamente che (ogni tanto) la scuola serve ancora a qualcosa. Ho conosciuto i Nasty White in terza liceo (loro erano al terzo, io no), e sono stati miei allievi per un solo anno (meglio precisarlo per i più maligni che già pensano alla crisi di malinconia del prof). Mr. Rag, Fake Smile e Vi.Le sono la dimostrazione, tuttavia, che i talenti non vengono riconosciuti subito. Che io ricordi, dei tre, solo uno brillava già di luce propria con la penna in mano; gli altri due, per essere magnanimo, potrei definirli più degli interpreti originali dell’accostamento libero di parole sul foglio bianco (quel processo che serve per non prendere 4 di un tema, tanto per intendersi). Insomma, ognuno a modo suo, tre fancazzisti di ultima generazione. Eppure il tempo passa, e le giovani menti cambiano (oppure quelle vecchie comprendono), e salta fuori un insieme di testi a dir poco sorprendenti. L’elemento biografico spicca e la fa da padrone, la denuncia di mali profondi di un’intera generazione (e non per forza la loro) fa da sottofondo a rabbia e dolcezza, a rime (talvolta forzate) che lasciano il segno.
Certo, per chi come me proviene da una formazione musicale completamente diversa, fatta di strumenti che parlano e che esaltano voci uniche, le campionature dei Nasty White potrebbero sembrare un semplice deja vu; il parlato ritmato e sincopato tipico del rap potrebbe sembrare tutto fuorché cantare. Eppure, c’è un grandissimo eppure. La contaminazione quasi esasperata di musiche preesistenti (dagli Europe ai Guns ‘n Roses), la fusione di timbri sonori talvolta lontani tra loro e la presenza costante di suoni sintetizzati creano sicuramente qualcosa di originale sul piano musicale. Ed è qui che entrano in gioco le parole, le vere ed uniche protagoniste. Tutto l’impianto musicale serve solo da contenitore, ciò che deve risaltare non sono le note ma i testi (nella migliore tradizione rap). E su questo allora qualcosa in più si può certamente dire. Basti citare “Manifesto”, la traccia n.9. L’intellirap proposto a tre voci è davvero originale: dalla Beatrice dantesca senza cuore al sosia di Dostoevskij, dal celebre delirio di Nietzsche alla caverna di Platone, un mix di personaggi e pensieri lontani nel tempo ma accomunati dalla forza delle idee, le stesse incise su basi campionate ad arte. D’effetto sicuro, non c’è dubbio!
Da zero a dieci, dunque! E dieci sono anche gli euro per avere il primo CD dei Nasty White.
Un buon investimento … ne vale la pena.
Carlo Pizzala
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