Guardai il cielo e capii che c’era qualcosa di diverso. Forse la luminosità delle stelle, forse la loro posizione o forse sembravano solo più lontane, ma qualche piccola sfumatura in ogni angolo di cielo stellato mi faceva capire che ero lontana da casa. Poco distante da me c’era un fuoco e mi fermai a fissare la sua fiamma, il suo colore, il suo movimento così rapido da sembrare che presto una di quelle fiamme avrebbe raggiunto il cielo. Da quel fuoco nascevano mille scintille che volavano verso il cielo come se volessero confondersi con le stelle.
Ricordo molte cose di quella sera, ma probabilmente con il tempo ne dimenticherò altrettante; ma non scorderò mai il momento in cui, guardando il cielo, vidi passare una stella cadente. Fin da piccola mi avevano detto che se avessi visto una stella cadente avrei dovuto esprimere un desiderio, e così feci.
“Ti prego, fa che sia una bella esperienza”. Era più una preghiera, ma dire quella piccola frase mi diede un senso di sollievo. Dopotutto ero arrivata la sera prima negli Stati Uniti dopo un lungo viaggio, e la curiosità di iniziare una nuova vita mi faceva quasi dimenticare che non avevo amici, fratelli o parenti lì con me. Ciononostante in quel momento provavo un senso di insicurezza. Gli amici della mia sorella ospitante parlavano un inglese ancora indecifrabile per me e forse era questo che mi aveva fatto preoccupare. Ricordo che era la tipica sera di fine estate, il buio era arrivato prima del previsto e una brezza più fredda del solito iniziava a farsi sentire.
Come gran parte della gente in Wisconsin, anche la mia sorella ospitante guidava un fuoristrada; ci salimmo sopra: io e mia sorella davanti e i suoi amici nel retro. Ricordo che abbassai il finestrino per due motivi: il primo era per sentire il vento tra le mani, cosa che facevo sin da quando ero piccola e il secondo era per vedere meglio tutto ciò che mi circondava: il rumore delle ruote sulla strada sterrata, le parole in inglese che ancora non capivo e un’immensa distesa di prato e boschi che sembravano unirsi al cielo stellato all’orizzonte. Ricordo che la radio era accesa e in quel momento, in quel preciso momento non c’era nessun altro posto in cui avrei voluto essere. Non c’era l’odore di smog, non c’erano le luci dei fari di altre macchine o dei semafori, non c’erano palazzi. Solo noi.
Chiusi gli occhi in modo da bloccare quel momento nella mia mente e quando li riaprii mi voltai verso mia sorella. Notai che mi guardava come per capire cosa stessi provando in quel momento.
“Se ti senti a disagio fammelo sapere, ché torniamo a casa”. Questo è ciò che mi disse quella sera. Era preoccupata che stessi male o che mi sentissi fuori luogo, probabilmente perché non avevo detto molte parole, ma la verità è che non capivo ancora molto e quindi non sapevo cosa dire. Inoltre non mi conosceva ancora e quindi non poteva sapere che io sono una di quelle persone a cui piace ascoltare e osservare. Dopo che lei mi disse ciò subito replicai che non c’era nessun problema e che mi stavo divertendo, ma la barriera della lingua diversa si faceva sentire. Quando dissi questo lei mi disse di non preoccuparmi e che potevo sempre iniziare a parlare in italiano. Mi fece sorridere e in quel momento sentii che mi sarei trovata bene con lei, forse per il suo modo di fare o forse perché in quel momento potevo contare solo sul suo supporto, ma probabilmente qualcuno stava ascoltando quando vidi la stella cadente.
Valeria Livigni (4C)