Immaginate che a un certo punto della vostra vita tutte le vostre conoscenze crollino. Immaginate che tutto ciò di cui vi fidavate si riveli tutto ad un tratto inaffidabile. Immaginate di trovarvi con sensazioni nuove, con nuove potenzialità e nuove forze. Aggiungete una spruzzata d’acne e pulsioni sessuali e siete tornati adolescenti. Aggiungete una spruzzata d’oro e di metafore e siete in pieno ‘600, mentre la perla imperfetta raggiungeva il suo massimo fulgore; siete in pieno Barocco.
Il Barocco; questo nome evoca da subito nella mente dell’ascoltatore immagini di grovigli di ori e marmi, un insieme disordinato di cianfrusaglie kitsch. Ma quando entrate in una chiesa, dopo il pesante impatto iniziale, iniziate a guardare per bene, facendo attenzione ai particolari e vi renderete conto che nulla in realtà è lasciato al caso, che tutto è il frutto di un attentissimo studio mirato alla creazione di un falso disordine. Stessa cosa vale anche per gli scritti di quel tempo: sfido chiunque a legger una poesia di Marino e capire di cosa essa parli al primo colpo. Emergono immagini di barche d’avorio, in mezzo a flutti d’oro, scogli di diamanti, e naufragi: un’ immagine perfetta per un testo pinkfloydiano, ma un po’ troppo psichedelica per essere seicentesca. A forza di leggere e rileggere, però, inizia a delinearsi il vero soggetto del sonetto: una donna che si pettina, come il didascalico titolo chiarifica. Ma perché? Perché questi artisti “barocchi” si comportano come gli ormoni impazziti all’interno del corpo di un adolescente in mezzo agli sconvolgimenti della sua età? Quali sono le certezze che cadono e mandano tutto in crisi? Beh, la risposta potrebbe essere data da un ragazzino delle medie normalmente dotato: siamo nel ‘600: la controriforma ha trionfato e l’inquisizione semina morti in ogni dove, Galileo e Keplero dimostrano che la Terra non è altro che un piccolo ammasso di terra e acqua che gira intorno a una stella, nell’infinito spazio buio e sconosciuto. Provate a immaginare lo shock: da un giorno all’altro l’uomo, abituato ad essere al centro di tutto, la creatura principe che Dio ha creato a sua immagine e somiglianza (e tutto ciò che ne consegue) si trova ad essere un granello di polvere alla deriva nell’infinito. “Che cos’è un uomo nell’infinito?” , chiede Pascal. Diciamo zero. Da tutto a niente, dalle stelle alle stalle. Immaginate che sconvolgimento. Altro che una tempesta di ormone Thp!
Così il nostro mondo adolescente si comporta come tutti gli esserini che corrono sulla sua superficie; inizia a comportarsi in modo strano e apparentemente insensato. Un enorme Holden Caulfield inorridito da “questa immensità a cui è negato ogni confine ogni centro e cioè ogni luogo determinato” (Keplero). Un Caulfield che se la prende con i “grandi”, con i filosofi e tutti gli altri più vecchi di lui, che vuole tirarsi su con le sue mani, fatte di cerchi, triangoli, metafore, cupole affrescate e colonne tortili. Inizia a trattare la filosofia non come una conoscenza dogmatica tramandata dal passato, ma come un campo da esplorare con l’unico strumento perfetto a sua disposizione: la matematica, così come hanno fatto Galileo e Keplero. Inizia a curare più la forma che il contenuto, a utilizzare metafore per esprimere “un concetto per mezzo di un altro concetto, trovando in cose dissimiglianti la somiglianza” (Tesauro). Anche l’arte prende la sua strada, tendendo all’infinito del nuovo universo, mescolando linee curve con linee dritte, creando un gioco di luci nuovo, che contrasta con la staticità della luce rinascimentale, modellando il marmo in ricchi e vistosi panneggi, statue, fontane e ogni tipo di scultura. Insomma, un vero e proprio caleidoscopio di espressioni.
Ed è così che il barocco si trasforma in un vero e proprio romanzo di formazione, in cui il protagonista non è un piccolo uomo, ma l’intero genere umano, che alza la testa dalla sua infanzia di credenze religiose per imparare a vivere nel mondo dei grandi, il mondo della scienza.
Eugenio Troìa (4C)