Solo tre anni fa percorreva anche lei i corridoi dell’Umberto I, adesso Gaia Salina è al terzo anno di Giurisprudenza qui a Torino e ha voluto passare con noi un soleggiato pomeriggio di fine maggio per raccontarci, attraverso gli occhi di un’ex-umbertina, il mondo dell’università e l’esperienza che lo studio della giurisprudenza le ha appena permesso di vivere. Ogni anno infatti la facoltà di Torino partecipa al JUSSUP, la più importante simulazione processuale di diritto internazionale al mondo.
In cosa consiste una Simulazione Processuale di Diritto Internazionale?
Dunque si tratta della simulazione di un caso di diritto internazionale che può trattare per esempio questioni di guerra, armi, risarcimento di un danno per danneggiamento di opere d’arte. Ogni squadra è chiamata a rappresentare parte o controparte in un processo fittizio davanti a una finta Corte Internazionale di Giustizia. Nel caso del JESSUP, che quest’anno si è tenuto a Washington, si tratta della più grande simulazione processuale al mondo perché normalmente vi partecipano fra gli 88 e i 90 paesi. Quest’anno se ne sono presentati 88, per un totale di 115 squadre.Le squadre, tutte provenienti da diversi paesi del mondo, sono composte da quattro membri, di cui due si incaricano delle difese del primo Stato, “la parte”, e gli altri del secondo, “la controparte”.
Come si arriva al processo fittizio a Washington? Avete partecipato a una selezione?
La selezione si svolge di solito a settembre ed è già di per sé molto dura. Si tratta di rispondere in inglese a un quesito di diritto internazionale e in seguito procedere alla stesura di una memoria difensiva su un piccolo caso che andava poi discusso oralmente. Solo per scrivere la memoria ci hanno mandato 400 pagine! Con una settimana e mezza di tempo per consegnare la prova. Devo dire che la fatica iniziale è stato assolutamente un’anticipazione di quanto sarebbe stato impegnativo. I professori ci avevano avvisato: avremmo vissuto per il Jessup … ed è stato così! A seguire il progetto per la facoltà di Torino è stato il Prof. Edoardo Greppi, insieme a due dottorandi, la dottoressa Fogli e il dottor Spagnolo. I lavori a Washington sono iniziati il 20 di marzo e si sono conclusi il 28. Non si trattava tuttavia solo della parte orale di fronte ai giudici: oltre a pronunciare l’arringa abbiamo prima dovuto stilare una memoria difensiva. In realtà direi che è stato il lavoro più corposo perché si trattava di cercare e ricercare tutte le tesi che potessero aiutarci nella difesa. Il tutto, tenendosi di fronte alla Corte internazionale di giustizia, ovviamente in lingua inglese, che ne è la lingua ufficiale insieme al francese. Per arrivare al Jussup vero e proprio ci sono comunque delle fasi nazionali, che in Italia si sono tenute i primi di febbraio a Milano e che noi come Facoltà di Torino abbiamo vinto (per la seconda volta!) contro Roma, con una certa soddisfazione, perché tra le due facoltà c’è sempre un po’ di competizione … Ogni 10 squadre che si presentano alle fasi nazionali, per ogni Stato, una sola può poi partecipare al processo. In Italia si sono presentate solo 16 squadre, perciò noi ci siamo trovati a rappresentare nel nostro piccolo anche il nostro paese.
Di cosa può trattare un caso fittizio di diritto internazionale?
Si tratta ovviamente sempre di situazioni a-politiche, fra Stati inventati (nel nostro caso Ardenia contro Rigalia) che iniziano sempre con le lettere A, per Applicant, ed R, per Respondent, rispettivamente parte e controparte. I temi sono comunque molto attuali, per esempio il nostro caso trattava dei droni, di recente utilizzati in Libia e in Afganistan, dei diritti della donna, facendo riferimento a quelle tradizioni che, come il burka, fanno tanto discutere oggi sul tema dei diritti umani. Sono tutte situazioni verosimili, di cui potremmo sentir parlare al telegiornale, spesso magari scorrettamente come nel caso della Libia, per non parlare della proibizione del velo, su cui c’è stata il mese scorso una sentenza della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo. Non si tratta quindi di un caso fittizio totalmente estraneo alla realtà. Sono temi davvero attuali.
È uno strumento diffuso quello delle simulazioni nell’ambiente giuridico universitario?
Da altri paesi partecipavano anche 4 o 5 squadre, ad esempio dall’India o dalla Russia. Questo perché in Italia in realtà non c’è la cultura di queste simulazioni processuali, ma all’estero sì, e spesso sono anche richieste come requisiti per entrare negli studi legali più importanti. Si tratta di esperienze importanti che ti permettono di entrare in contatto con un ambiente insieme professionale e internazionale. Qui solitamente studiamo pura teoria, per la parte pratica bisogna aspettare di trovarsi a svolgere direttamente il lavoro sul campo. Finché sei all’università impari le norme a memoria; in una simulazione processuale si applicano gli studi di diritto internazionale alla pratica. È un’esperienza molto più viva, perché ci si ritrova a difendere materialmente il proprio Stato, a sostenere una tesi con tutti i mezzi che si hanno: nonostante possa essere infondata e illogica o già detta da qualcuno in precedenza, come la Corte Europea”.
Che tipo di clima hai trovato durante il Jessup? Avevate anche il tempo di conoscervi, di stringere legami?
È sicuramente anche un’occasione per conoscersi, creare legami e contatti da mantenere. I giudici sono tutti personaggi di livello internazionale, leader counselor dell’OECD, membri stessi della Corte Internazionale di Giustizia, professori eminenti di diritto internazionale. Ti trovi a poter conoscere persone che tu stesso hai citato nelle tue memorie … e tutti sono molto disponibili, molto alla mano. In America in effetti a differenza dell’Italia, oltre allo studio, si dà moltissima importanza, nel tempo libero, alle relazioni sociali. Quindi anche al Jessup, accanto al processo organizzato con puntualità e precisione, ogni sera veniva proposta una festa come occasione per conoscere gli altri partecipanti, ma anche le personalità. La serata di accoglienza per esempio era un ballo in cui ogni squadra doveva vestirsi in modo da rappresentare il proprio Stato. Noi non avendo un costume nazionale italiano abbiamo optato per una rappresentazione dell’Unità: la bandiera, Vittorio Emanuele, la Regina Margherita e Garibaldi. Ovviamente poi c’è stato un concorso per i migliori travestimenti … siamo arrivati fra i primi 10!
Sei entrata alla facoltà di giurisprudenza dopo aver frequentato il Liceo Classico Europeo qui all’Umberto I, l’hai sentito come uno strumento in più?
Io credo che, per quanto riguarda la scelta che ho fatto, aver studiato qui sia assolutamente un vantaggio. Abbiamo, oserei dire, una marcia in più. Un po’ forse è presunzione, ma un po’ è anche la coscienza di aver studiato bene due lingue, anche attraverso lo studio di materie veicolari in lingua e questo ci da un buon vantaggio nei confronti di altri licei. Senza dubbio si tratta di una scuola che dà un forte stimolo all’internazionalizzazione, grazie agli scambi, ai progetti, ai viaggi … anche lo studio del latino, per quanto non sia ai livelli di altri licei classici, mi è bastato per cavarmela egregiamente fra i libri di diritto romano. Mi sembra inoltre che questa scuola aiuti molto anche nell’imparare l’organizzazione del tempo. Molti all’università finiscono per perdersi, perché non si trovano più ad ogni giorno qualcosa da preparare, usciti da qui normalmente non corriamo questo rischio …
Che progetti hai per il futuro?
L’anno prossimo andrò a studiare a Parigi nell’ambito della doppia laurea, per prendere il titolo italo-francese. Dopo di che mi piacerebbe tentare la carriera accademica, anche se so bene che è molto difficile. Quest’esperienza mi ha comunque fatto capire che “diritto internazionale” è davvero quello che voglio fare. È stata un’occasione di crescita. Parlare davanti a quei giudici ti forgia non c’è niente da fare! Mi è piaciuta molto una frase che ha detto la dottoressa che ci ha seguito, al primo incontro di presentazione del Jessup: “Ad avere una laurea possono arrivarci tutti. Ma con quel pezzo di carta in mano il giorno della vostra laurea sarete il Signor Nessuno, quello che conta è quanto potrete dirvi davvero arricchiti dal tuo percorso all’università”.
Federica Baradello (4F)