Sappiamo tutti di frequentare una scuola speciale, dove le materie sono tante, dove il tempo passato a scuola è più di quello passato a dormire, ma c’è una costante che ci accomuna a tutte le altre scuole. C’è una materia, una sola materia, che menziona le circostanze in cui l’essere umano ha fallito. Una materia che parla di massacri, di discriminazioni, uomini sfruttati e donne senza diritti. Una sola materia: storia. Contro le 12 materie che ci elogiano, che seguono le linee neoclassiche dei dipinti e analizzano figure retoriche di suono, di significato, di posizione. Sentiamo parlare di scoperte, invenzioni, capolavori dalla mattina alla sera (letteralmente). Ma a volte ci concentriamo sull’altra faccia della medaglia, quel Mr. Hyde della vita reale capace di tutt’altro che di ideare una Cappella Sistina.
Il 27 gennaio è conosciuto da tutti, o quasi. Sono 17 anni che ricordiamo le vittime della Shoah (circa 15 milioni nel giro di pochi anni) in modi diversi, nelle scuole, nelle piazze, o più banalmente nelle sale cinematografiche. Nessuno può assicurare che il tema sia sempre trattato nel migliore dei modi. Ma alcuni credono sia eccessivo trattare argomenti simili, “deprimersi” in questa maniera. O almeno, questo è ciò che pensano gli ideatori e i sostenitori della cosiddetta “Giornata della Memoria Gioiosa”, ragazzi, educatori e docenti del nostro istituto. A quanto pare approfondire gli orrori compiuti dall’uomo non valorizza i giovani, non dà loro l’opportunità di migliorarsi e mettersi in gioco. C’è una pagina Facebook in cui questa iniziativa viene presentata, e un estratto di questa presentazione recita: “La giornata della memoria gioiosa vuole contrapporsi alla giornata della memoria celebrata il 27 gennaio”. E in riferimento a quest’ultima, viene aggiunto che “In questo modo viene trasmessa alle persone una concezione prettamente negativa di quello che è invece […] un essere meraviglioso e capace di cose incredibili”. Insomma, quell’essere meraviglioso celebrato da 12 delle 13 materie in cui ci imbattiamo ogni giorno.
Non che sia sbagliato, di per sé, incoraggiare i ragazzi ad essere costruttivi, a inventare ed inventarsi. E questo non vuol essere un manifesto del pessimismo contemporaneo, bensì una presa di coscienza della realtà. Come si può credere di potersi proiettare avanti, se voltandosi si guarda più all’oro che al sangue di chi lo ha estratto? Ed è poi così vero che sentire e vedere la morte deprime, che sconvolge il naturale svolgersi di progetti e costruzioni? Lo stimolo alla vita e alla creatività cesserebbe, in tal caso, ad ogni notiziario in televisione, per ogni titolo dei quotidiani. Si tratta di un monito, un monito che vuole contrapporsi a quelle 12 materie, a quell’idea, insita in ognuno di noi, che l’uomo faccia esclusivamente il bene, che sia superiore agli altri animali. E non ha il fine di dimostrare il contrario, è solo un grandissimo “ma” nel storia della nostra specie. Lo stesso Immanuel Kant (citato a supporto di questa tesi in occasione della sua presentazione ufficiale, la sera del 22 Marzo) affermava che l’uomo virtuoso, razionale, maggiormente in grado di seguire le leggi della morale, non sarebbe mai stato in grado di raggiungere, pienamente, quella felicità su cui questa giornata insiste.
Forse il problema non è la Memoria, la sua trasmissione, l’idea di ricordare le vittime delle nostre azioni. Il problema sembra essere il modo a volte superficiale in cui viene trasmessa, il modo in cui viene recepita, il fatto che non la si consideri uno stimolo ma una spina nel fianco di un orgoglio tipicamente umano. La soluzione, però, non può essere contrapporre ad essa l’ennesima occasione di autocelebrazione. La soluzione è imparare a sensibilizzare, a guardare il male in pieno volto con occhi critici, per riconoscerlo ed essere in grado di evitare che accada nuovamente. Per capire l’ascesa dei partiti di destra, le radici del terrorismo, il problema degli obiettori di coscienza. E forse in quest’ottica il 27 Gennaio risulterà più costruttivo, e quelle 15 milioni di persone non saranno ridotte a “ricorrenze deprimenti”.
Diana Greco Ciobanu, Miriam Papa