Credo fermamente che chiedere ai partecipanti di seguire la pagina Instagram di IMUN nell’ultimo giorno di simulazione sia una vera “violenza psicologica”.
Infatti, noi delegates, che per tre giorni ci siamo trovati a rappresentare un paese membro delle Nazioni Unite con fervore, a vedere nei post pubblicati altri ragazzi che fanno ciò che ci ha tanto appassionati, proviamo istintivamente una botta di invidia e nostalgia.
Ma cos’è questo strano progetto di cui si parla in maniera tanto entusiasta? Il progetto IMUN è l’acronimo di Italian Model United Nations ed è organizzato da United Network, una ONG europea che simula delle assemblee dell’ONU per gli studenti.
A questi ultimi viene assegnato un paese da rappresentare già un mese prima della simulazione, affinché possano conoscere al meglio i valori e le ideologie proprie della nazione di cui saranno delegates.
Viene poi la parte più intrigante: ci si trova al mattino in un’aula – che per noi è stata l’auditorium di Città Metropolitana – circondati da ragazzi che hanno più o meno la nostra età, di scuole e abilità linguistico e oratorie diverse, a dibattere a nome di un paese che, con ogni probabilità, fino a qualche mese prima ci era completamente sconosciuto – compito per casa: scoprire l’esistenza del Kiribati, o del Brunei Darussalam-.
Vi è una sola certezza: durante la speaker’s list, quando bisogna parlare per la prima volta di fronte a tutti ed esporre la propria posizione, dietro al podio le proprie gambe tremano – sempre – in modo incontrollabile. Talvolta tremano anche le mani, quando non la voce.
Tuttavia, man mano che si va avanti a parlare, posto di voler correre questo rischio, tutto viene molto più naturale. Si cominciano a conoscere le persone, si stringono le prime alleanze, che (spoiler alert!) sono destinate a morire, si stringe amicizia.
Entro la fine della giornata è garantito essere stanchi morti, ma elettrizzati: è così che, anche chi pensava di far tutt’altro, medita se non inseguire una carriera politico-diplomatica.
A partire dal giorno successivo si inizia a discutere, tramite i moderated – o unmoderated – caucuses, momenti di scambio diretto di prospettive, monitorato o meno dalla chair, che dirige il tutto; al fine di costruire assieme una resolution, cioè una proposta per affrontare il problema posto dal topic.
E poi arriva l’ultimo giorno, quello della chiusura. Si torna a casa con un misto di soddisfazione e malinconia. Le amicizie strette, le risate durante le pause – ma, badate bene, anche durante il dibattito -, le battute scambiate in inglese, perché, dopotutto, così c’è molto più gusto, restano impresse nella memoria. È difficile spiegare a chi non c’era quanto sia stato intenso e travolgente. E, alla fine, ciò che resta non sono solo le nozioni apprese, ma la consapevolezza di aver superato un ostacolo, di aver trovato la propria voce.
Il momento più emozionante? Probabilmente la votazione finale. Dopo giorni di dibattiti, discussioni e alleanze strategiche, vedere la propria risoluzione approvata è un traguardo che riempie d’orgoglio.
Forse è per questo che, quando ci viene chiesto di seguire la pagina Instagram di IMUN, proviamo quella “botta di invidia e nostalgia”. Non è solo una pagina social: è un ricordo di quanto ci siamo sentiti vivi nel metterci in gioco.
Stella Camilla Brao