Spingeva la carrozzina con elegante passo svelto.
Le colline morbide delle sue anche ondeggiavano nell’aria, senza sbilanciarsi troppo.
Madre giovane. Collana di perle verdi. Occhi decisi, sempre un po’ socchiusi, mai aperti del tutto, nemmeno durante una litigata furibonda o un terribile spavento, e così le sopracciglia, che di rado si disincastravano dal loro giaciglio, alla base della fronte. Il mento pronunciato puntava alla fierezza. Anche il naso, di poco più lungo del mento, veniva portato con orgoglio.
Le ruote del passeggino danzavano lubrificate sulle mattonelle dei sentieri, il parco era in fiore.
Uno stridulo richiamo interruppe la corsa.
La gentile signora Ometti li raggiunse pregna del suo solito fare baldanzoso. Tale ostentata allegria veniva spesso percepita con fastidio, da chi baldanzoso, in quel momento, non lo era proprio per niente.
Ariecco la scassacazzo, disse infatti la giovane madre a se stessa. Mostrò un vago sorriso.
La settantaquattrenne signora Ometti aprì le valvole di sfogo, un meccanismo che le permetteva di non sovraccaricarsi coi fatti inutili e pettegolezzi assorbiti durante il giorno. Riferirli a chiunque le capitasse a tiro compensava le sue lunghe sedute solitarie, ore e ore su una sedia in casa a cercare motivi per fare qualcosa che si era già dimenticata cosa fosse.
Qui di seguito viene riportata per questioni di spazio solo una parte del monologo della signora Ometti:
“Signorina Wistress! Oh, che giuoia ritrovarvi anche a voi qui al parco, in questa meravigliosa, meravigliosa giornata! È la terza che incontro oggi del nostro condominio, sa? Anche l’ingegnere, poveretto, tutto curvo sulle stampelle dopo quel brutto incidente. E io gli darei pure una mano, si figuri, me lo ha persino chiesto, ma come faccio a fidarmi di quello là, le pare? Con quella voce cattiva, e gli occhi poi! Brrr, mi fanno impressione, a lei no? Sarà anche un brav’uomo ma sapesse quante volte l’ho colto in flagrante mentre mi fissava il fondoschiena! A me, si figuri! Con tutte le belle giovini che ci sono , come lei signorina, bellissime, l’occhio dell’ingegnere s’incollava sul mio! Ma io me n’ero già accorta, sa? Aveva già provato ad approcciarmi all’ultima quaresima, in parrocchia, stringeva, stringeva, mi stringeva la vita col braccio, stringeva forte e io ho dovuto spingerlo via perché lì è dove m’han fatto il trapianto, si ricorda? Che brutta cicatrice, mamma mia! Comunque basta pensieri tristi, eccoci qua! Riappare il sole, tutti fuori a bighellonare! Lei è la terza che incontro di oggi, sa? La terza! ..”
La signorina W assecondò per pochi minuti il bisogno divulgativo della signora O, poi gettò una frase in mezzo a quel tunnel orale intasato di parole.
“Carla, ha visto come sta bene Jordan col berretto nuovo?”
La signora Ometti inghiottì il resto del discorso e s’avvicinò al passeggino con la bocca sbaciucchiosa e gli occhi velati d’una finissima tristezza.
Amanda Wistress si piegò, mettendo una mano carezzevole all’interno.
Nella carrozzina, Jordan, un bimbo autistico di sei anni. Suo figlio.
Lo sguardo molle di Jordan si adagiava senza inerzia, scivolando sulle cime degli alberi del parco. Uno sguardo d’olio, mai fermo su qualcosa in particolare, sgusciava via, in perenne caduta, giù, attraverso le cose, nell’assenza o nell’essenza di tutto.
Sua madre pensò per un attimo alla fortuna che aveva Jordan di riuscire a non prestare attenzione durante i discorsi prolissi della signora Ometti. Ma fu solo un attimo.
Jordan d’un tratto scrollò la testa e la piegò di lato. Lo sguardo si fece d’un mezzo tono più acceso, ma per chiunque altro a parte Amanda Wistress fu un evento impercettibile.
“Che c’è, tesoro?” chiese amorevole.
Jordan sembrava impietrito. Non c’era paura nei suoi occhi, ma una curiosa scoperta che lo spingeva alla comunicazione. Un bisogno, come la spinta di sfogo che provava la signora Ometti.
“Ci vuoi dire qualcosa, amoruccio?” disse la sopracitata signora O.
Jordan alzò bradiposamente le due manine coi palmi aperti.
Con evidente sforzo, il pollice della mano destra andò ad opporsi all’ultima falange dell’indice e di tutte le restanti dita della mano. Fece un cerchietto orizzontale.
La mano sinistra invece la chiuse a pugno, lasciando fuori l’indice teso, grosso quanto un bruco paffuto.
Entrambe le donne guardarono col massimo della ricettività, mentre Jordan faceva entrare il ditino sinistro nell’incavo creato dal palmo destro. Un ditino che entrava nel buchino, entrava e poi usciva, e poi rientrava e riusciva, e dentro e fuori, dentro e fuori, andando avanti così.
Alla signora Ometti scappò una maliziosa e breve risatina, seguita da una paralisi facciale e dal solo movimento delle pupille in direzione della signorina Wistress.
Amanda Wistress non sapeva cosa replicare.
“Hai.. fame?” azzardò senza convinzione. Il bimbo continuò inamovibile nella sua opera di penetrazione.
“Forse… Ehm…” disse la signora Ometti “… Sa com’è, a quest’età cominciano già ad avere le prime spinte adulte, no?”. Amanda la fulminò con un indice alzato in segno di starsene zitta, ma Jordan insisteva. Dentro, fuori, dentro, fuori e dentro e fuori, il dito precipitava nel buco. Con quella faccina pallida che per lo sforzo cominciò a impomodorarsi, tingendo di rosso le guancette rotonde, e gli occhi, sempre più strizzati dalla fatica. Partì col fare persino dei versetti dal fondo della gola. Ora sembrava sul serio che stesse inscenando un atto sessuale compreso di audio e video. Anche la signorina Wistress si pigmentò di imbarazzo. Il suo presuntuoso orgoglio le era scivolato gradualmente sotto i tacchi.
“Dai, Jordan, andiamo a casa” disse Amanda facendo una brusca inversione a U, le ruote della carrozzina stridettero. Tentando di mantenere un minimo di dignità disse, rivolta alla signora Ometti “Scusa cara, devo proprio andare, probabilmente gli scappa di andare in bagno.”
“Oh poverino, ma certo certo, andate pure! Ci rivedremo domani sera per l’assemblea condominiale”
Amanda Wistress non le rispose più e si diresse a gran velocità giù per la collina del grande parco, col pupo nel passeggino che ostinatamente perpetrava la sua vergogna, senza pudore a cui badare.
“Che razza di figure mi fai fare, cretino…” sibilò sua madre ben sapendo che non poteva essere compresa.
La signora Carla Ometti guardò i due allontanarsi sui prati.
“Che roba! Anche le creaturine innocenti prima o poi sfociano nell’indecenza.. non c’è scampo! Non c’è scampo per nessuno!” pensò, facendosi il segno della croce. Si girò a tornare sui suoi passi, infilando una mano nella borsetta per cercare qualcosa.
Con uno strillo acuto, la signora Ometti cadde dentro il tombino aperto dietro di lei.
Jordan, sentendo il grido, pensò “la comunicazione è solo un fottuto spreco di energie”, e smise di far entrare il dito nel buchino.
Guido Bertorelli