Ricordare il primo giorno di scuola a 17 anni non è facile, se poi si ha una pessima memoria è praticamente impossibile. Ad ogni modo, se si ha abbastanza fortuna da essere un exchange student in un paese straniero, si potrebbe sempre riuscire a vivere quel lontano giorno un’altra volta.
Entrare in una scuola nuova è sempre un’esperienza, e se la scuola in questione è Americana, be’, a quel punto tutto inizia a diventare un film. Ogni cosa, dai corridoi lunghi e spogli, gli armadietti alti e stretti, e persino la ragazza che ti mostra l’edificio parlando e “sciabattando” troppo velocemente – così non si capisce una singola parola – ricordano qualsiasi film che parli di una scuola, da High School Musical a Mean Girls. Ma il meglio deve ancora venire.
Le lezioni cominciano alle 7:45 ogni mattina e finiscono alle 15:00. Si susseguono nello stesso, identico ordine ogni singolo giorno, cominciando con l’Inno Nazionale e il Pledge of Allegiance alla nazione. Ogni studente e insegnante si alza in piedi, alcuni con la mano destra sul cuore, visi rivolti alla bandiera appesa in ogni classe, mentre le note del famoso inno risuonano per tutto l’edificio, aiutate dal silenzio tombale. Un momento di silenzio alla fine e poi una registrazione di varie voci giovani, insieme a tutte le persone della scuola, riempie l’aria:
“I pledge allegiance to the flag of the United States of America, and to the Republic for which it stands. One nation under God, indivisible, with liberty and justice for all”.
Dopo questo, le lezioni sono pronte per cominciare. Un annuncio giornaliero, proveniente direttamente dall’ufficio del direttore, interrompe il tutto ancora prima dell’inizio vero e proprio, per ricordare a tutti i ragazzi e le ragazze che “Pantaloni o gonne devono arrivare come minimo a metà coscia e le magliette devono avere le maniche”. La voce del direttore è piuttosto autoritaria, ma agli studenti non sembra importare troppo, considerato che questa regola non incide affatto sulle più strane combinazioni di vestiti che occhi italiani, così abituati alla moda, abbiano mai visto: pantaloncini e maglietta, abbinamento ideale per difendersi dal freddo pungente dell’aria condizionata; pantaloni della tuta e mocassini; felpe enormi e pesanti sopra a pantaloncini e ciabatte… Nonostante tutto però freshmen, sophomores, juniors e seniors americani sembrano pensare che l’abbinamento perfetto sia ciabatte da piscina e calze. Dal nono al dodicesimo grade (gli anni di liceo), infatti, sia ragazzi che ragazze non perdono occasione per indossare questa strana coppia di indumenti. E la cosa più strana e bizzarra a questo proposito sono proprio le calze: tirate su fino a metà polpaccio, perfettamente visibili grazie ai pantaloni vertiginosamente corti. Specialmente le ragazze si sbizzarriscono con colori fosforescenti e disegni assurdi, quasi in competizione per riuscire ad indossare l’abbinamento più strano.
Nessun problema fin qui, ma quando una ragazza della tua classe di inglese – che indossa ciabatte e calze tutti i giorni – ti chiede se parli l’italiano, be’, a quel punto cominci a domandarti se quelle scarpe non le stiano lentamente bruciando il cervello. Non è neanche lontanamente possibile, infatti, immaginare le domande più assurde che uno studente italiano all’estero può ricevere. Una domanda pertinente potrebbe essere “come funziona la scuola nel tuo paese?” oppure “quante volte al giorno mangi la pasta?” o qualsiasi altro dubbio a proposito di una cultura sconosciuta. Ma è esattamente quando ti viene chiesto se in Italia si mangiano pizza e spaghetti, e se sì, come vengono chiamati, che diventa molto difficile trattenersi dal tirare un pugno dritto in faccia all’interlocutore e anzi rispondere abbastanza educatamente. Non per niente gli Americani sono considerati ignoranti agli occhi del mondo e specialmente a quelli dell’Europa: uno stereotipo che purtroppo è facilmente confermato.
A scuola si studiano infatti solamente argomenti a proposito degli Stati Uniti, nonostante sia offerta una vasta gamma di materie da scegliere. La Geografia è un mondo a parte, considerato che spesso un Americano non è in grado di identificare il proprio stato su una mappa del Nord America. La situazione si aggrava quando viene richiesto di individuare gli interi Stati Uniti, una nazione larga quasi dieci milioni di chilometri quadrati, su una mappa mondiale. Figuriamoci sapere dov’è l’Italia o quale stato ha Parigi come capitale.
Storia Americana e Governo Americano sono comunque senza dubbio le due materie più importanti e quelle in cui è più facile ricevere un lavaggio del cervello su quanto gli Stati Uniti siano grandi, belli e pieni di opportunità, la vera realizzazione del cosiddetto “Sogno Americano”. Basta chiedere ad uno studente di raccontare la sua versione della Seconda Guerra Mondiale e Hitler viene subito descritto come un pazzo sanguinario (del resto, chi può negarlo?), tutte le nazioni alleate alla Germania dipinti come stupidi sempliciotti e l’intero conflitto un genocidio insensato. Questo fino a quando gli Stati Uniti sono entrati in guerra e hanno ristabilito la pace, uscendone – ovviamente – vincitori. Tutto per merito loro, insomma.
Tralasciate le conoscenze, dopo anche solo un mese di vita in America è possibile affermare che gli Americani sono sovreccitati, ignoranti, nazionalisti, spesso chiusi di mente, troppo orgogliosi del proprio Paese e di ogni cosa da esso creata, dall’iPhone 5 a tutte le infinite catene di ristoranti e fast-food impossibili da differenziare tra loro. Ma gli Americani sono anche aperti, simpatici, gentili, affabili, curiosi e con un’aria amichevole che scioglie il cuore.
God bless America.
Matilde Revelli (4B)