Dottor Facebook e Mister Netlog

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dr-jakyll-and-mr-hyde-frederich-marchSiamo la generazione del web, un’orda di giovani la cui vita ha due interfacce: reale e virtuale. Siamo Marco, Sara, Valentina ma anche “Marko95”, “sara.best” e “Valentina_micetta” e sempre più spesso le due identità si scindono, differenziandosi per importanza e per qualità. Fortunatamente, la maggior parte delle persone è consapevole dell’insostituibilità di un’esistenza reale con un surrogato di pixel, e Marco preferisce servirsi di “Marko95” solo per organizzare una pizza vera con degli amici tangibili; sceglie quindi di conferire al web il ruolo di strumento utile al reale, senza dargli un’indipendenza immeritata.

Ma sono anche tanti coloro che considerano i social network, primo fra tutti Facebook, la vetrina della propria esistenza: pubblicano foto di amici al solo scopo di dimostrare di avere degli amici; urlano al modo la frustrazione di un momento per sottolineare la loro partecipazione alla vita; ritengono di dover dipingere costantemente attraverso elementi più o meno espliciti un ben preciso ritratto di sé stessi, la proiezione di un’immagine che spesso non si riscontra nella realtà. Agostino trovò un senso alle sue esperienze ordinandole su una pagina, Alfieri costituì un modello di sé stesso gettando la propria vita nell’inchiostro e Valentina proietta il desiderio di una perfetta integrazione sociale nel suo alter ego “Valentina_micetta”. Meno poeticamente, ma l’intento rimane.

Non a caso i network sono “social”: permettono di ricreare (e a volte di ammorbidire grazie alla finzione) quella spietata rete di relazioni interpersonali che al liceo mette a dura prova l’autostima di molti, stabilendo chi costituisce il modello e chi l’anomalia in un sistema di convenzioni più rigido di quanto non s’immagini.

Quando poi la vita reale viene lentamente messa in secondo piano per far spazio ad una vita virtuale più addomesticabile e servizievole nei confronti dell’amor proprio dell’utente, si finisce per perdere di vista l’umano seduto dietro alla tastiera e dare il benvenuto ad una nuova creatura: lo user.

 Ed è allora che Facebook, la rete del sociale per eccellenza dopo Twitter, non basta più. Serve uno spazio per quegli aspetti che non si vogliono più vivere nel reale, ma che non possono essere affissi sulla bacheca del consenso pubblico. Serve una nuova nicchia, meno famosa ma altrettanto conosciuta, dove liberare il proprio irrequieto mister Hyde, una creatura che reale o virtuale che sia, ha bisogno di sfogarsi. Serve Netlog.

Non dichiaratamente pornografico come ChatRoulette ma altrettanto disinibito, questa piattaforma celermente scalzata dall’avvento di Facebook ha assunto il ruolo di una terra di nessuno, perfetta per cercare quello che sull’annuario da college non si può nominare: sesso, comprensione, trasgressione. Ormai è noto tra i navigatori anche meno esperti, su Netlog si incontrano solo più coloro che con sprezzo vengono definiti “desperados”: persone di ogni età in cerca per lo più di videochiamate in webcam che prevedono spogliarelli o masturbazioni, che tentano di intavolare una chat erotica o che semplicemente si sentono soli ed hanno bisogno di sfogare una frustrazione radicata. Quattordicenni, sessantenni, uomini, donne, belli e brutti scorrono le foto, danno un’occhiata veloce ai blog e se interessati cominciano a messaggiare con l’intento di ottenere un contatto per Skype. Come al mercato, sull’homepage del sito scorrono quelli che, molto appropriatamente, vengono chiamati “urli”, frasi di vari utenti proiettate in tempo reale su uno spazio pubblico in modo che qualunque iscritto possa leggerle ed eventualmente contattare l’autore. Un’asta molto varia, che spazia da un innocente “Ciccino mi manchi” ad un esplicito “Mi spoglio in cam se mi fai una ricarica da 5 euro sulla carta poste pay ”. Prova che la legge Merlin non aveva previsto tutto. Proprio così: prostituzione online. Del resto è il mestiere più vecchio del mondo e paradossalmente pare che battere da casa senza il rischio di infezioni, gravidanze ed aggressioni (visti oltretutto le tariffe accessibili) sia stata percepita come un’evoluzione professionale molto apprezzata. Certo, manca una parte fondamentale della prestazione: il contatto fisico. In molti sollevano la giusta obiezione che converrebbe guardare un film a luci rosse gratuitamente ma il successo della novità, per quanto superficialmente illogico, mette in luce ancora una volta come la vita virtuale sia solo una trasposizione della vita reale e come, perciò, anche fare l’amore rimanga una questione privata tra una donna ed un uomo, non tra una pornostar ed il suo pubblico. Per quanto di mezzo ci sia un cavo a fibre ottiche.

Sano, non sano? La faccenda non si risolve in poche righe, ma indubbiamente condannare solo Netlog e non tutto il sistema di cui fa parte per liberarsi dell’imbarazzante questione del sesso è limitativo. Il problema di fondo non è dove si sceglie di avere rapporti sessuali, ma dove si sceglie di collocare la propria esistenza: dentro o fuori lo schermo? E se è questo il vero problema, Facebook e l’abuso che ne si fa sono colpevoli tanto quanto Netlog di aver creato una cultura della costruzione artificiale, una cultura del cerone e della cipria, una cultura da fotoshop e da citazioni incollate, una cultura della rinuncia: la rinuncia a costruire un io ideale nel mondo reale.

 

Eugenia Beccalli

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