Due o tre cose che so di lei …

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La serie di fatti accaduti negli ultimi mesi sia a livello scolastico che di classe, di cui probabilmente tutta la scuola è a conoscenza, invitano inevitabilmente a riflettere sul tema complesso e dibattuto della droga tra i giovani e specialmente nelle scuole. Discutendone in classe e in famiglia la cosa che lascia più sorpresi è l’impressionante distanza tra i diversi pareri e punti di vista.
Fin da quando si è piccoli, la droga viene descritta come un qualcosa di brutto, che fa male, tanto male: ti viene offerta la prima volta, forse anche la seconda, e poi inizi a volerla, a desiderarla sempre di più, a comprarla, non ti bastano i soldi e inizi a rubare e magari finisci anche sulla strada, senza più la capacità di desiderare altro. Ti brucia i neuroni, uno alla volta, e alla fine ti ritrovi perso, solo e senza più la capacità di ragionare, in un centro di recupero da cui forse non uscirai. Da bambini ci si immagina cose tipo uomini brutti e cattivi all’uscita dalla discoteca con delle specie di bancarelle ricche di bicchieri pieni di roba scura, che sembra coca cola, ma che in realtà è droga. Se dai un sorso, la tua vita è rovinata. Mai la si accetterebbe. Poi si cresce e ovviamente le fantasie infantili si rivelano un po’ sbagliate, ma (a maggior ragione se si ha una madre farmacologa) i discorsi sull’uso e sugli effetti degli stupefacenti si ripresentano spesso. Le droghe rimangono qualcosa di rischioso, pericoloso, stupido e sicuramente da evitare. Arriva il giorno, però, in cui le droghe te le trovi davvero davanti. Mantieni le distanze, forse, ma comunque ti incuriosiscono. Presto ti viene spiegata la differenza tra droghe leggere e pesanti, non riconosciuta dalla legge italiana. In sostanza, le droghe pesanti sono quelle dei film, quelle che ti fondono il cervello e ti distruggono la vita, mentre le cosiddette droghe leggere, ovvero i cannabinoidi, beh, quelle sono un’altra cosa. Come la mettiamo adesso? Quella sostanza malefica che ti doveva distruggere la vita non è altro che una sigaretta un po’ cicciona che ti fa “viaggiare” e quegli uomini brutti e cattivi sono i tuoi amici. Amici che con un sorriso, un sabato sera, si girano verso di te e ti dicono “vuoi un tiro? Che c’è di male a provare?”. La risposta ovviamente dipende da persona a persona. C’è chi non si lascia sfuggire la sfida, chi invece nega qualche volta e poi cede, chi infine, per questo o quell’altro motivo, mai la toccherà. Come la risposta, così anche la reazione cambia. Può non piacere, così come esaltare, così come diventare un passatempo ogni tanto, come un vizio che aumenta gradualmente. Le reazioni di ognuno sono indubbiamente soggettive. Sta di fatto che però quel tiro, di per sé, non ti cambia la vita e neanche quello dopo, e forse neanche quello dopo ancora. Ti cambia un’ora, forse due, ti cambia una serata, ma poi torni alla tua vita e tutto è come prima. Non ti senti un drogato, un tossico, probabilmente non ci pensi neanche. Quella dipendenza che dovrebbe invaderti dopotutto non la senti neppure. Ti appare davanti un mondo diverso da quello che ti era stato descritto. Per molti, le droghe leggere non sono altro che un modo alternativo per passare una serata, un’eccezione non molto diversa dal bere un po’ troppo a un festino o dal tornare tardi. Le ragioni possono essere le più svariate: dall’influenza degli altri all’insicurezza, dalla moda alla noia, e ancora la ricerca di qualcosa da fare, la curiosità, la paura. Ormai è come se il sabato non fosse un sabato senza euforia, sballo e trasgressione. L’alcool, abbassandoti i freni inibitori, riduce il controllo e le insicurezze, permettendoti di dire e fare cose che probabilmente da sobrio non avresti avuto il coraggio di compiere. In fondo, hai l’alibi pronto: al primo giudizio puoi sempre rispondere “avevo bevuto un po’ troppo”. Invece la canna, per quanto anch’essa riduca le insicurezze e tolga peso ad ogni problema, è molto diversa. Crea, infatti, un mondo a parte, un’illusione che ti permette di non pensare. È come se ti trasportasse in un’altra dimensione, come a notare cose nuove dimenticando quelle vecchie. Ti stordisce a tal punto che non ti permette neanche di giudicare gli altri. Dopo una canna, nel gruppo si è tutti uguali, si è tutti sullo stesso piano. È questa la differenza fondamentale. L’alcool in quantità non esagerate diminuisce l’autocontrollo, aiutandoti a esprimere ciò che sei, a volte anche ciò che nascondi. La canna invece riduce ciò che sei al minimo, è lei che comanda. Quando si è tutti uguali, non c’è giudizio, ma non c’è neanche valorizzazione. In parole povere, che tu sia più o meno intelligente, più o meno simpatico o affascinante conta ben poco, conta unicamente ciò che lei, la droga, ti mostra. E ciò che ti mostra è un mondo illusorio, che non esiste, che non va confuso con quello reale. Il fascino che crea un mondo parallelo in cui non si è né più né meno degli altri può essere sicuramente molto forte per una persona che non crede tanto nella propria personalità o per chi non accetta il mondo in cui è nato e cresciuto. Appare come un’occasione, una soluzione a ogni problema. Ed è così che dall’uso si può passare all’abuso: la canna ogni tanto diventa una canna alla settimana, poi due alla settimana, tre, una al giorno o anche più. Ma spesso non è per scelta che si giunge all’abuso. I cannabinoidi, infatti, in quanto droghe, per definizione creano dipendenza, anche se non immediata. passa-la-cannaDa questo punto di vista, la canna è molto simile alla sigaretta. Il meccanismo che si va a creare è all’incirca lo stesso. Il primo tiro viene offerto, poi si scrocca una sigaretta, poi un’altra e così via. Alla domanda “sei dipendente?”, quasi sicuramente la risposta sarà “no, fumo solo ogni tanto, posso smettere quando voglio”. Ed è così che si inizia a comprare pacchetti, prima una volta ogni tanto, poi più spesso, e alla fine, dopo un anno o due, si ammette: “Ebbene sì, sono dipendente”. Da quel momento, forse lo si accetta, oppure si cerca di smettere, spesso inutilmente. Come per la sigaretta, anche per la droga, la sua vicinanza e la sua presenza nella quotidianità sono decisamente significative. La questione diventa ancora più seria se la droga si diffonde nella scuola. Infatti, la disponibilità di droga in un ambiente, come quello scolastico, in cui si è costretti a passare gran parte della giornata, finisce per toccare direttamente o indirettamente un po’ tutti. Della canna infatti, esattamente come della sigaretta, all’inizio non se ne ha bisogno quotidianamente, ma trovandosela attorno ogni giorno è più probabile averne voglia, come è più probabile cedere alla tentazione. Ovviamente, anche a scuola, c’è chi si fa coinvolgere di più, chi di meno, così come chi la rifiuta, ma inevitabilmente si va a formare un gruppo che “fuma” e che col tempo si allarga sempre di più, anche tra i più piccoli. Questo gruppo si isola, perché la canna instaura un meccanismo tale per cui o coinvolge o isola. Infatti, una persona che si trova con un gruppo di gente che fa uso di hashish o marjuana senza aver fumato, semplicemente si annoia. La volta successiva ha due alternative: fumare anche lei o andare da un’altra parte. Se decide di fumare, poi probabilmente fumerà di nuovo. I problemi della canna, in fondo, non sono unicamente quelli medici e quelli legali; la canna è un problema perché a un certo punto il suo uso inizia ad essere un pensiero fisso, un’ossessione. Pian piano, finisce per occupare gran parte del tempo, dei pensieri e dei discorsi, fino a sostituire interessi, hobby, passioni e impegni. Ed è così che, un po’ alla volta, ragazzi che prima erano bravi a scuola, si incuriosivano per qualsiasi cosa, facevano sport, organizzavano serate e proponevano iniziative, si ritrovano a passare il loro tempo facendo sempre la stessa cosa. E questo, oltre a far meditare, fa rabbia.

Martina Vanelli (4B)

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