“L’arte è come il cibo […] L’arte contemporanea è l’arte più fresca, quella freschissima. Per gustarla bisogna essere pronti a dei sapori nuovi, come quando si viaggia all’estero e si sperimentano piatti sconosciuti.” Così il critico d’arte Francesco Bonami definisce l’arte contemporanea nel suo libro “Lo potevo fare anche io”, pubblicato nel 2007. “L’essenza dell’arte contemporanea sta in questo: rivendicare la nullità, l’insignificanza, il nonsense, mirare alla nullità essendo già nulla.” sostiene invece il filosofo Baudrillard nel suo libro “Il complotto dell’arte”. Bonami e Baudrillard, tuttavia, sono solo due dei tanti che hanno cercato di esprimere la propria opinione riguardo a questo argomento, oggetto di un dibattito mondiale di cui, probabilmente, non si troverà mai una risposta definitiva e condivisa da tutti. A chi, almeno una volta nella vita, davanti ad un’opera di arte contemporanea, non è mai capitato di chiedersi “Ma questa è arte?” Probabilmente a nessuno. Soprattutto se si ha sempre visto solo un certo tipo di arte. Soprattutto se si sta visitando uno dei musei di arte contemporanea più stravaganti al mondo: il Museum of Old and New art di Hobart, in Tasmania, inaugurato nel gennaio del 2011 per volere del proprietario David Walsh. Un museo che è stato oggetto di molte critiche ma che, allo stesso tempo, ha contribuito ad incrementare il turismo nella zona. Un museo che è stato definito diverso da tutti gli altri non solo per la sua architettura, ma anche per ciò che rappresenta. Forse perché basato solo sul sesso e sulla morte. O forse solo perché al suo interno si trovano opere d’arte che non si è abituati a vedere. E nemmeno a definire come tali. Perche’ siamo abituati a “vedere” l’arte, a riconoscerla e cercarla così come ce l’hanno sempre spiegata ed indicata. Il problema è che non è la stessa arte che si trova al museo di Hobart. E allora, è normale che davanti ad una libreria piena di libri senza parole o immagini, davanti ad un uomo che mostra il proprio tatuaggio sulla schiena o davanti ad una macchina che rappresenta l’apparato digestivo umano ci si ponga questa domanda. Il punto è che raramente ci fermiamo a riflettere su che cosa sia veramente l’arte e soprattutto chi, come e perché decida che qualcosa è arte oppure no. Prima di chiedersi se una singola opera si tratti o no di arte, bisognerebbe stabilire che cos’è l’arte in sé. Solo a quel punto si potrebbe decidere la sorte di quella tanto discussa arte contemporanea. “Che cos’è l’arte e cosa la rende tale” chiedeva Julia Roberts alle sue allieve nel film Mona Lisa Smile. L’arte è arte per come è o per ciò che rappresenta? L’arte è arte per la qualità o per il significato? L’arte è soggettiva o oggettiva? Bonami ha ragione. Per apprezzare l’arte contemporanea bisogna essere pronti a qualcosa di nuovo. A qualcosa che non ci è mai stato spiegato. E per farlo bisogna imparare a capirlo. Allo stesso tempo, tuttavia, Baudrillard non sbaglia. La fama dell’arte contemporanea ormai sta proprio nell’essere nulla. Nel non significare nulla. E allora c’è qualcosa che non va. L’arte contemporanea dovrebbe essere apprezzata per l’idea e per quello che vuole esprimere ma allo stesso tempo, il più delle volte, non significa nulla. Un’opera di arte contemporanea spesso diventa famosa perché nessuno ne capisce il senso, forse nemmeno l’artista. E allora l’arte contemporanea è arte? Dipende. E’ arte tutto ciò che riesce a trasmettere qualcosa, positivo o negativo che sia. Ognuno ha la propria arte. Ognuno sceglie cosa per sé è arte: in funzione della bellezza o del significato o, magari, dell’impossibilità di assegnare o individuare un significato. L’arte, forse, è libertà.
Elena parodi (4B) – corrispondente dalla Tasmania