Cosa può costare 1693 €? Biglietti aerei per destinazioni esotiche? Una vacanza-studio per imparare l’inglese? Un Rolex?
No, 1693 € è il valore medio dello spreco alimentare annuo di una famiglia italiana. Vi sembra tanto? Lo è. Per la precisione, in Europa ogni anno vengono buttati 90 milioni di tonnellate di cibo ancora buono. Eppure non molti se ne accorgono. Lo nota eccome chi invece è escluso da tutto questo benessere. Nel mondo siamo tanti, e molti di noi hanno fame. È stato calcolato che entro il 2050 saremo 9 miliardi quindi, per nutrirci, dovremo aumentare del 70% la produzione agroalimentare mondiale. Se quel cibo che finisce puntualmente nei rifiuti andasse a sfamare parte di queste persone, non sarebbe tutto più facile?
Sono state proposte alcune possibili soluzioni: nel 2012, il Parlamento Europeo si è posto l’obbiettivo di ridurre del 50% gli sprechi alimentari entro il 2050. Alla questa risoluzione ha aderito persino l’Italia, con iniziative come la “Carta spreco zero”, sottoscritta da oltre 1000 comuni, e la (purtroppo ignorata) “Giornata contro lo spreco alimentare” del 16 Ottobre 2013. Anche la nostra scuola sta portando avanti un’iniziativa in merito: il progetto “Eat it up”, che si propone di informare ed educare al rispetto verso il cibo. Quindi, le soluzioni ci sarebbero, bisogna solo metterle in pratica.
Il fatto che una parte della popolazione terrestre muoia di fame e l’altra sprechi risorse importanti come gli alimenti non è solo un problema economico: è soprattutto un discorso etico.
Il pianeta ha fame; tuttavia questo non riguarda più solo i bambini scheletrici che siamo abituati a vedere sui giornali o in televisione. Ora sta colpendo anche noi, la ricca Europa. Nel nostro continente ci sono ormai molte persone che vivono, anzi sopravvivono, sotto la soglia di povertà, che non possono nemmeno nutrirsi. Si tratta anche di gente che ha o aveva un lavoro, che fino a poco tempo fa poteva permettersi di mangiare tre volte al giorno, ma che ora è costretta ad andare alla mensa dei poveri.
Eppure c’è gente che butta via quantità incredibili di cibo: verdure, pane, pasta, carne che finiscono quotidianamente nei rifiuti. Ormai siamo troppo abituati al benessere, non sappiamo più cosa sia la fame. Siamo passati dal dopoguerra, quando un semplice pezzo di pane aveva un valore inestimabile, al consumismo da post-boom economico. L’Italia è diventata una nazione ricca, una delle 8 più potenti del globo, in cui il fiorire dell’industria ha portato un’abbondanza che non avevamo mai visto prima. Ma questo benessere non durerà all’infinito, anzi, ora sta già declinando. Questa generazione non ha conosciuto la povertà, ha cibo “da vendere” (o, sfortunatamente, da buttare), possiamo scegliere cosa mangiare e quando, abbiamo a disposizione piatti esotici, possiamo permetterci di mangiare carne ogni giorno.
Così, abituati alla prosperità, non guardiamo al di là del nostro naso: non vediamo la realtà di chi non ha modo di sfamare sé e la propria famiglia. Ormai cestiniamo senza problemi ciò che i nostri nonni ci avrebbero magari “rifilato” il giorno dopo: una minestra preparata con verdure avanzate, crostini fatti con pane vecchio, polpettone …
La scrittrice siciliana Catena Fiorello è particolarmente attiva su questo fronte: nel suo libro “Dacci oggi il nostro pane quotidiano” (in cui parla dell’esperienza della sua famiglia con il cibo e della sua mancanza) propone molte interessanti ricette da preparare con prodotti che siamo soliti considerare “avanzi”. Lo stesso fanno molti blog contro la crisi, spesso gestiti da donne che riescono sempre a trovare modi per sfamare i figli con pochissimi soldi a disposizione.
È come se un quarto della popolazione mondiale fosse seduto ad un’enorme tavola imbandita con pietanze di ogni sorta e il resto, per terra, si contendesse gli avanzi che cadono da quella ricca mensa. La maggior parte della popolazione del Belpaese fa (ancora) parte dei pochi fortunati seduti a quel banchetto, tuttavia senza sapere se durerà ancora per molto. Ogni giorno sprechiamo cibo ed energia senza curarci di niente, come se non dovessero mai finire. Ricerchiamo alimenti che vengono da lontano, perché mangiare esotico “fa figo”. Ma non sappiamo che per trasportarli fino all’Europa vengono utilizzate ogni giorno quantità di energia tali da illuminare Milano per due ore.
Quando “gli affamati” erano solo un problema degli altri paesi era più facile non preoccuparsene. Ora però non possiamo più ignorare questa situazione. Se parte di noi ha fame mentre il resto può permettersi di sprecare generi di prima necessità, allora c’è un ENORME problema che dobbiamo assolutamente risolvere. Fortunatamente ciò è più che possibile: ci vuole però tanta volontà da parte di ognuno. È necessaria un’opera di educazione (o quantomeno informazione) anti-spreco che parta dai più giovani, fino a coinvolgere l’intera società. È più facile educare al rispetto che correggere comportamenti sbagliati.
Questo è lo scopo principale del progetto attivo nella nostra scuola: informare per trovare soluzioni, almeno all’interno dell’Umberto I. Per esempio, ed è qualcosa che ci coinvolge in prima persona, è importante capire come far rispettare a tutti la raccolta differenziata. Fare qualcosa in merito è ormai diventato un imperativo morale, non abbiamo più scuse: dobbiamo iniziare a guardare in faccia la realtà e cercare di migliorarla.
Beatrice Costa (4G)