Troppe cose. Troppo spreco. Troppo consumo. Troppe macchie di colore inutili. Troppo rumore. Troppe persone. Ma Darwin e i suoi studi dove sono andati a finire? Le ipotesi più in voga del momento, che lentamente percorrono strade, città, fiumi e oceani puntano sul fatto che, grazie al continuo avvento di nuove tecnologie, sia cessata la selezione naturale e che, di conseguenza, l’uomo invece di migliorare continui a ristagnare nel suo stesso essere. Peccato solo che la vita intellettuale di un paese non necessariamente progredisce con l’evoluzione. Il termine “evoluzione” non implica direttamente un miglioramento o un aumento di complessità degli organismi, e non è neanche la capacità di “uscire vincenti” dal processo di selezione naturale. Il programma principale della teoria dell’evoluzione è semplicemente l’adattamento all’habitat circostante, e quindi può portare anche alla “perdita” di caratteri e funzionalità. Ma il problema continua a persistere. Troppe cose, troppo spreco, troppe persone e troppa poca materia. Dato che la materia non si può né creare, né distruggere, ma esclusivamente trasformare e che le nostre necessità sono in continuo aumento, cosa si può fare? Le soluzioni possibili sono tante e varie: secondo alcuni bisognerebbe adattarsi a vivere sotto terra, a mo’ di talpe; altri pensano che la soluzione migliore sia quella di tentare la colonizzazione di Mercurio (ma hanno riferito che andrebbe bene anche un altro pianeta, magari un po’ più vicino); ho sentito flebili voci che proponevano l’uccisione di tutti gli over60, ma poi, prendendo in considerazione il fatto che prima o poi tutti varcheranno la soglia della sessantina, da flebili sono diventate mute. Ci sono tante altre teorie risolutive che in questi giorni nuotano nel nostro sistema , ma dopo un’attenta analisi di quelle espresse fino ad oggi c’è n’è solo una che mi pare realizzabile entro i confini della nostra mentalità “non più selettivamente evoluta”: interrompere il ciclo del consumismo. Impossibile? Può essere … ma ricordiamo sempre che “il fatto stesso di essere vivi richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice respirare”.
Maria Basso (3F)