L’uomo dopo i social network. Se fosse stato un saggio, Beata Ignoranza si sarebbe intitolato così. Il nuovo film con Alessandro Gassman e Marco Giallini propone con leggerezza ma senza superficialità temi più che mai attuali: l’uso dei social network, la non-comunicazione immediata e l’essere tempestati di notifiche. Sostanzialmente il binomio e il vuoto incolmabile tra realtà e rete. La rete connette e cambia la vita dei personaggi, che sembrano fantocci impotenti: Marianna è stata spazzata via da un SMS, dopo che sua mail ha spezzato il legame tra Ernesto e Nina, la cui vita è stata cambiata da un video su Youtube. La pellicola è un affresco riuscito della realtà complessa delle relazioni dopo l’avvento della rete: la comunicazione istantanea, l’informazione a portata di click e il coraggio che nasce da un nickname. Ma anche l’alienazione a cui si è sottoposti se disconnessi e i pericoli a cui si è esposti. Manca tuttavia una parte importante, nonché molto dibattuta al momento. Perché appartenere a una famiglia devastata non è frequente quanto avere un gruppo Whatsapp con i propri professori, per fortuna. Nell’esplorare i rapporti tra i personaggi principali, ci si è infatti dimenticati che i protagonisti sono anche professori che usano i social media per rapportarsi con i propri alunni. Il dibattito, che giustamente non ha trovato spazio nel film, è allargato a tutti i social network, ma si concentra soprattutto su Facebook e Whatsapp. Nel caso del faccialibro, la polemica è in realtà scoppiata per colpa di Zuckerberg e del suo concetto deviato di amicizia. Probabilmente, se ci trovassimo ad accettare richieste di “aggiunta contatto”, anziché “amicizia”, non si starebbe neanche a discutere. Inoltre ci si dimentica troppo spesso che le impostazioni sulla privacy sono personalizzabili sempre e anche per ogni singolo post: siamo noi a scegliere chi e come può farsi i fatti nostri. Paradossalmente, impostando male la privacy un professore (e un altro individuo qualunque) potrebbe visualizzare e commentare i contenuti pubblicati anche senza figurare nell’elenco degli amici. A chi invece sostiene che possano essere i contenuti condivisi dai professori a minare il rapporto istituito a scuola, si può rispondere con il decreto europeo che stabilisce un’età minima di 16 anni per iscriversi a Facebook. Se a due anni dalla maggiore età non si riesce a pensare criticamente con la propria testa, l’”amicizia” del professore è l’ultimo dei problemi. Per quanto riguarda Whatsapp invece la storia è diversa: per entrare in contatto con un altro utente è necessario conoscere il suo numero di telefono. Nel caso dell’aggiunta di un professore, secondo alcuni, si accorcerebbero eccessivamente le distanze. Forse chi non è a scuola da un po’ non la ricorda, ma la gerarchia scolastica è molto chiara a chi si deve ancora diplomare. Le divisioni, per uno studente, sono sempre molto nette e i confini coincidono con i compiti assegnati a ciascuna componente. Un professore non perde autorità figurando nella rubrica di uno studente, purchè tragga vantaggio dalla comunicazione istantanea in modo adatto alla sua posizione. In fondo si tratta solo di un sottoinsieme dell’educazione alla comunicazione, trascurato e ignorato con tutto il resto della materia
Valentina Porta