Quest’anno la più alta onorificenza scientifica è stata assegnata ai tre nomi che si sono meritati il Nobel “per i decisivi contributi al rivelatore Ligo e all’osservazione delle onde gravitazionali”: il tedesco Reiner Weiss (85 anni), del Massachusetts Institute of Technology, gli americani Barry Berish (81) e Kip Thorne (77), del California Institute of Techonology. Gli stessi che, 25 anni fa, fondarono l’interferometro Ligo, l’osservatorio statunitense per il rilevamento delle onde gravitazionali alla ricerca di una conferma della teoria della Relatività Generale di Albert Einstein. Che il più grande fisico mai esistito fosse nel giusto già un secolo fa era quasi scontato, ma mancava all’appello l’ultimo pezzo del puzzle. Un risultato raggiunto anche grazie alla collaborazione internazionale tra il progetto americano Ligo e quello europeo Virgo, costruito dal fisico italiano Adalberto Giazotto nelle campagne toscane: due rivelatori che hanno lavorato insieme come un unico potentissimo strumento, riuscendo a captare le onde gravitazionali per la prima volta nel 2015.
Ma cosa sono queste onde gravitazionali? Perché averne confermato l’esistenza si può considerare la scoperta scientifica del secolo? La loro storia comincia il 25 novembre 1915 quando Einstein presentò all’Accademia delle Scienze prussiana un’equazione che legava tra loro la velocità della luce, la forza gravitazionale e la geometria dello spazio-tempo, ovvero un tessuto a quattro dimensioni, tre spaziali e una temporale. La massa curva lo spazio-tempo, come succede quando posizioniamo un oggetto su un lenzuolo teso. Se la materia è in movimento c’è una perturbazione oscillatoria nel tessuto, come le onde che si formano in uno stagno quando un oggetto vi si sposta dentro. Queste perturbazioni nello spazio-tempo sono chiamate onde gravitazionali. Tutti i corpi con massa contribuiscono a creare queste increspature, ma sono infinitesimali perché la gravità non è una forza molto intensa se paragonata alle altre forze dell’Universo. Il problema è che anche un’onda molto grande causa effetti molto difficili da rilevare: infatti solo i corpi celesti molto massicci, come i buchi neri, producono onde gravitazionali tali da potere essere rilevate e studiate dai ricercatori. Riuscire comunque a identificarle e quindi a confermare nella pratica la teoria era stato quindi finora impossibile a causa di diversi motivi. Prima di tutto un’increspatura comporta una contrazione o una dilatazione dello spazio, ma, siccome facciamo parte dello stesso spazio, ci è impossibile notarla direttamente, perché noi stessi siamo coinvolti nelle dilatazioni e nei restringimenti. Per aggirare il problema i fisici fanno ricorso a una costante: la velocità della luce. Poiché la sua velocità è sempre uguale, possiamo sapere quanto tempo impiega la luce a spostarsi da un punto a un altro. Se il tempo di viaggio aumenta vuol dire che l’onda gravitazionale ha portato a una dilatazione dello spazio, mentre se diminuisce vuol dire che lo spazio si è ristretto e che quindi la luce ha dovuto percorrere una distanza inferiore per arrivare a destinazione.
La scoperta è stata di così eccezionale portata che già si pensa alla nascita di una nuova branca della scienza: l’astronomia gravitazionale, che potrebbe farci comprendere nuovi aspetti del cosmo profondo. Ma perché è così importante? Le onde gravitazionali potrebbero permetterci di studiare fenomeni non percepibili con altri strumenti: potrebbero aiutarci per esempio a studiare la luce residua e la radiazione del Big Bang, arrivando a ridosso della grande esplosione che diede origine all’Universo.
La Scienza e la Fisica non sono dunque un percorso con un punto di arrivo o una destinazione da raggiungere, ma un viaggio senza una meta finale. Questo è il progresso, questa l’evoluzione: spingere sempre il nostro sapere oltre nuovi confini, distruggere le pareti dell’ignoranza per innalzare la nostra conoscenza, superare i limiti umani per ampliare la nostra mente verso l’infinito.
Elisa Buglione-Ceresa