“Milioni di euro spesi per un puntino nero distante anni luce e non un soldo per i bambini in Africa: vergogna!”
“Il mio Huawei da 200€ la faceva meglio.”
“Altroché buco nero: questo è l’occhio di Sauron de Il Signore Degli Anelli, venuto pure sfocato.”
E altri mille a seguire. Qualche momento di gloria su Facebook per far sorridere uno sconosciuto a cento chilometri di distanza, una manciata di commenti per scaricare la proprio coscienza e, ovviamente, le parole del classico nullafacente che sminuisce il lavoro e l’impegno degli altri. Ecco la formula per definire l’utente italiano medio sui social network.
Eppure per informarsi basta così poco. La foto dell’anno, la foto del decennio, la foto del secolo, come la si voglia chiamare, è stata la protagonista dei giornali nell’ultimo periodo. E ci mancherebbe altro, dopo tutti gli sforzi che ci sono voluti per realizzarla. È infatti il risultato dell’immenso lavoro svolto dall’Event Horizon Telescope (EHT) – tradotto in italiano “Telescopio dell’orizzonte degli eventi” – un importante progetto internazionale che ha interessato quasi tutte le regioni del globo. Si tratta di radiotelescopi multipli, situati lontano l’uno dall’altro e puntati contemporaneamente sullo stesso oggetto. Di fatto, i telescopi funzionano come se fossero frammenti di un’unica grande antenna dalle dimensioni del nostro pianeta Terra, l’unica in grado di elaborare i complicati intrecci dell’orizzonte degli eventi.
Ma partiamo dall’inizio. Un buco nero è un corpo celeste con un campo gravitazionale estremamente denso dal quale nessuna materia o radiazione può fuggire, nemmeno la luce. Questo è il motivo per cui noi, di fatto, non possiamo vederlo. Gli orizzonti degli eventi sono la caratteristica distintiva dei buchi neri: a noi appaiono come superfici sferiche che nascondono il loro interno alla vista. Poiché la luce può attraversare la superficie solo in una direzione, ovvero verso l’interno, il globo appare completamente nero. Per la verità, l’orizzonte degli eventi di un buco nero è cinque volte più grande di quanto sia in realtà, perché deforma lo spazio circostante e curva il percorso della luce. (Per approfondire leggi qui)
Fino a qualche giorno fa l’esistenza dei buchi neri era solo teoria, tanto che alcuni fisici ne negavano addirittura l’esistenza. La loro storia inizia più di un secolo fa, quando lo scienziato Albert Einstein teorizzò la Relatività generale: si ipotizzava anche che un oggetto sufficientemente grande, come può essere una stella massiccia, potesse collassare su se stesso fino a concentrarsi in un punto a densità infinita.
Ciò che rende questa immagine così importante e straordinaria, quindi, è che conferma l’esistenza di questi misteriosi corpi celesti. Ancora più strabiliante è notare come le teorie dei fisici del Novecento, che si basavano esclusivamente sui calcoli e ipotesi, si sono avvicinate in modo incredibile alla realtà: quanto può essere potente e geniale il cervello umano? Tra i tantissimi studiosi dei buchi neri, i più importanti e degni di nota sono Karl Schwarzschild, a cui si deve il raggio di Schwarzschild, grazie al quale possiamo calcolare la portata di un buco nero, e Stephen Hawking.
Che cosa vediamo in questa immagine, allora, se il buco nero non si può fotografare? Il disco luminoso che ci permette di capire la forma di questo corpo celeste è materia gassosa ad altissima temperatura, dell’ordine dei miliardi di gradi Kelvin, che ruota attorno al centro della zona scura e che viene istante per istante inghiottito dal buco nero.
La “foto del secolo” ritrae, o a questo punto non ritrae, il buco nero M87, distante 55 milioni di anni luce da noi e caratterizzato da una dimensione inimmaginabile, circa 100 miliardi di chilometri di diametro. Ciò che rende tutto questo risultato ancora più affascinante è il fatto che, volendo fare un paragone con qualcosa di più facile intuizione, si potrebbe dire che l’aver misurato il diametro di questo anello è equivalente a misurare la lunghezza di una carta di credito sulla superficie della Luna.
Non a caso questo immenso lavoro è stato frutto di un gioco di squadra internazionale. Ognuno dei telescopi dell’EHT ha prodotto enormi quantità di dati, circa circa 350 terabyte al giorno, che sono stati archiviati su dischi rigidi a elio ad alte prestazioni e in seguito trasferiti su calcolatori avanzati, chiamati “correlators”, per essere combinati ed elaborati. L’immagine che vediamo è poi la sintesi di tutti questi dati, che sono stati convertiti in un’immagine utilizzando strumenti altamente specifici sviluppati proprio nel corso di questo immenso progetto.
Il lavoro tuttavia non è finito. Anzi, abbiamo appena iniziato a scalfire la superficie dei misteri del nostro Universo. Per esempio, molti aspetti degli stessi buchi neri sono incognite inspiegabili. La collaborazione EHT è ora alla ricerca di finanziamenti per stabilire un punto d’appoggio in Africa, che colmerebbe un’importante lacuna nella rete. Il piano è trasferire una parabola di 15 metri, un telescopio svedese dismesso, dal Cile sulla Gamsberg Table Mountain, in Namibia. Una rete EHT ampliata potrebbe fornire dettagli su quello che accade all’interno dei buchi neri, ancora impossibile al giorno d’oggi poiché, come abbiamo detto prima, ogni informazione viene intrappolata dentro il buco nero.
Se si vuol essere sinceri, Einstein non si era soffermato più di tanto sulla teorizzazione di buchi neri. Tuttavia è stato soprattutto grazie alle sue equazioni della relatività generale se siamo arrivati a conoscere in modo così ravvicinato questo corpo celeste. L’immagine, o “non” immagine, pubblicata il 10 aprile scorso, data che secondo gli scienziati di tutto il mondo passerà alla storia, è un ulteriore conferma del fatto che il grande genio del Novecento Albert Einstein aveva, per l’ennesima volta, avuto ragione.
Elisa Buglione-Ceresa