Spesso non ci si rende conto di quanto sia forte la mente umana, di quanto possa essere influente sul comportamento. I pensieri, specialmente quelli auto prodotti, possono far vivere la vita sia in modo felice e sereno sia in modo in modo triste e buio. Da un lato non c’è molto da dire se non che si sta bene; dall’altro non si vive bene. Un pensiero può essere letale, se alimentato da eventi esterni o inconsciamente, fino a far nascere il desiderio di smettere, di finirla. Determinata da molti fattori quali vita privata, lavoro o amici, l’idea di non voler più esistere tocca la mente fino a penetrarvi e sedimentare. Percependo l’insoddisfazione, il senso di fallimento, l’impotenza, l’inettitudine o non vedendo via di uscita dalla propria prigione mentale, non c’è più nulla da dare, ma solo qualcosa da togliere. La vita.
In fondo, si smette di soffrire o di esser felici e di avere dei pensieri, quegli stessi pensieri che fanno credere che non ci sia più motivo di esistere. Quindi morendo si starà bene. Forse. Chi può saperlo? Nessuno è mai tornato indietro per raccontare cosa succeda al momento del trapasso.
Vivere è il più grande dono che si possegga, non si può buttarlo via di fronte alle difficoltà. Perché la vita è così: una continua altalena, a cui bisogna rispondere per le rime. Combattere fino alla fine, dare del filo da torcere alla vita, pur sapendo che vincerà sempre lei. La passività non è una condizione innata, la si può sviluppare ma anche sconfiggere per non far vincere la vita a tavolino. È quando si combatte che si vive, affrontando a testa alta qualsiasi situazione e accettando il proprio operato in tutti i suoi limiti. E se proprio non ci si riuscisse sempre? Pazienza, a volte non è sempre buona la prima. L’importante è riprovarci.
Fabio Cannizzo