Dopo il primo mese incominci a capire che ne è valsa la pena. Lasciare tutto e partire: destinazione sconosciuta, preparazione zero. La mia strana avventura comincia con un continuo ritardare della partenza. L’ansia è a mille, la pazienza ormai esaurita e quando ormai vedi che al 15 di settembre ancora non hai una meta la speranza comincia a svanire. Ma la speranza è l’ultima a morire, quindi dopo due giorni sei convocato a Roma per partire, destinazione: Ohio. Con la rabbia che ti esce fuori dalle orecchie e l’adrenalina alle stelle, prendi quell’aereo che ti porterà nella tua futura casa.
Di certo il primo periodo non è una passeggiata, l’inglese non è mai stato il mio forte, ma dentro di te scopri una forza sconosciuta che ti permette di andare avanti anche nei momenti più difficili. Quella è la forza dell’exchange student (si, è con questo nome squallido che ci chiamano), una forza che solo chi ha vissuto l’esperienza può capire, che ti permette di sorridere quando tutto va male, di avere sempre una buona parola per tutti e di ripetere il tuo nome circa duecento volte al giorno.
Il concetto di “strano” non esisterà più nella tua mente perché avrai visto di tutto e di più: dai vestiti più bizzarri ai pasti ad ore improponibili del giorno, dal cibo più inconsueto che esista, all’egocentrismo americano. Nulla ti infastidisce: sopporti tutto e tutti, non ti fai mai troppe domande e vivi la vita come capita, un po’ a caso, tanto non hai nulla da perdere.
Quando ti chiedono perché hai voluto fare questo, la tua risposta è sempre la stessa: “Non lo so, c’era questa opportunità e io non me la sono fatta scappare”. Alla fine ci sarà un bilancio, positivo o negativo, non lo so, ma ripensandoci ne sarà valsa la pena.
Davide Gangemi (4F) – corrispondente dagli Stati Uniti