Famiglia: work-in-progress

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“Ah, Bianca, sei stata spostata dalla commissione sul burka; ora sei assegnata a quella sulla famiglia.”

Impallidisco. Si leva un urlo, dentro di me: delusione profonda.

Il mio gruppo pian piano si assottiglia: ciascuno quando trova il proprio seminario si congeda e sparisce nell’aula di riferimento. Ormai siamo rimasti in tre.

Un interminabile corridoio si allunga davanti a noi. In tre a camminare di gran carriera lungo un corridoio del Politecnico per raggiungere le nostre rispettive aule di commissione. Finalmente, oramai arrivati al fondo, ecco apparire i numeri fatali assegnati a ciascuna commissione. Ci guardiamo per l’ultima volta, scambiandoci uno sguardo d’addio e un sorriso smarrito e poi entriamo, ognuno nella propria aula.

Ecco l’aula n.35 : entro timorosa. Chiedo ai presenti: “E’ questa la commissione n. 19?”

Alcune teste si voltano contemporaneamente a scrutarmi chiedendosi, probabilmente, chi si sia permesso di introdursi in quel clima di silenzio religioso “Sì” mi rispondono all’unisono e tornano a occuparsi dei loro affari. Sono spaesata. “Cosa bisogna fare ora?!” mi chiedo. Presa dallo sconforto, causato dalle mie aspettative infrante di trovare un clima accogliente e brillante, mi lascio cadere mollemente su una sedia. Noto che siamo disposti come funghi. Ciascuno in una parte diversa dell’aula. Decido di imitare il resto della cricca, immerso nella lettura di documenti e riviste varie e prendo dalla mia borsa un depliant su Torino. Quando rialzo lo sguardo per estrarre il tavolino davanti a me, mi accorgo di due occhi neri che mi guardano fissi. Un bambino che si trova a parecchie file di distanza da me mi studia incuriosito. Gli sorrido e questo immediatamente si gira, tornando a fissare la cattedra. Sospiro profondamente.

Il silenzio continua ad essere interrotto saltuariamente dal rumore leggero delle pagine girate delicatamente. Ognuno ha paura di rompere il silenzio quasi sacro.

All’improvviso passi pesanti fanno sollevare ritmicamente tutte le teste, che periodicamente ruotano interessate protendendosi verso la porta. Un omone fa irruzione in quel clima ovattato e entrando sbraita: “Ma qui non c’è ancora nessuno?!?” Debolmente gli rispondiamo di no. “Ah.” risponde lui con disappunto. Subito dopo dei ticchettii di passi femminili invadono l’aula. Entrano una dietro l’altra cinque ragazze. Camicetta bianca e foulard fucsia al collo.

Le ragazze, sicure di loro stesse, si siedono due alla cattedra e le altre tre nei primi banchi. Ci guardano e farfugliano qualcosa tra loro; quindi ci chiedono se gentilmente possiamo tutti venire più avanti e sederci più vicini alla cattedra. Ora anche loro si fanno imbarazzate e confuse sul da dire e sul da farsi.

“Bene” esordisce spontanea la presidente della commissione “Cominciamo con una breve presentazione, così rompiamo il ghiaccio”

“Ciao a tutti io sono Laura” la sua vicina, la vice presidente e verbalizzatrice: “ Io sono Veronica” e poi tocca a me…. Cercando di assumere un tono disinvolto e sperando di riuscire ad alleviare la mia voce nasale provocata dal raffreddore dico : “Io sono Bianca” “Mannaggia a me e al mio raffreddore!!” penso subito dopo aver scandito la sillaba “no” di “sono” ; la voce è risuonata più nasale del previsto…

Ognuno rivela il suo nome, biascicando lettere incomprensibili e non dando il tempo necessario all’ interlocutore di recepire e incamerare quello che si ha appena bisbigliato; fatto sta, infatti, che di nomi mi ricordo solo il mio (per fortuna..!) quello della presidente e della vice presidente!

Nuovo silenzio imbarazzante, rotto dalla risatina titubante della presidente. Mi volto per visionare meglio i miei compagni di dibattito. Un ragazzo, un signore, due signore, una ragazza, il bambino (tra l’altro che cosa ci fa lì un bambino di I media!?! A un dibattito sulla famiglia!?) e poi nella mia stessa file le 3 ragazze che avevano fatto un ingresso trionfale accompagnando presidente e vice. Noto a malincuore che tutti sono armati di taccuino e penna. Svogliatamente tiro fuori anche io le armi del mestiere e prendo a scarabocchiare su una pagina.

La presidente si fa coraggio e rompe quel silenzio glaciale. Comincia a leggere un documento che aveva redatto con le due compagne di classe a proposito de “la famiglia”, scritto come cappello introduttivo per il dibattito.

Lo scopo della discussione è di riuscire a scrivere entro un’ora dall’inizio della riunione un documento finale, una frase che racchiuda il significato dell’intero dibattito. La consegna è: “La famiglia: costituisce un punto di riferimento educativo per i giovani? Riesce a incidere sulla formazione della loro personalità? Soddisfa le loro aspettative? Rispetta la loro autonomia? E come la mettiamo con i rapporti economici ( la paghetta)?”

La presidente comincia a leggere il documento.

“La struttura della famiglia negli ultimi anni è cambiata molto dal modello tradizionale della famiglia italiana. La famiglia moderna è composta dai genitori ed uno o due figli. La famiglia tradizionale, agricola e patriarcale, era invece molto numerosa e riuniva genitori, figli, nipoti sotto uno stesso tetto.

Secondo noi la famiglia costituisce un punto di riferimento educativo per i giovani e riesce sicuramente ad incidere sulla formazione della loro personalità; nella maggior parte dei casi rispetta la loro autonomia e i loro momenti di privacy davanti al computer o alla TV e dà loro una paghetta. Da un recente sondaggio è emerso, però, che molti ragazzi ricevono una paghetta mensile di quasi 200€ (sbigottimento generale sovrastato da vari ohhh di sorpresa). Un punto sul quale sarebbe utile discutere è proprio quello di internet e la televisione: possono questi strumenti essere la causa di un allontanamento tra figli e genitori?

Inoltre è molto comune che i figli vivano con i propri genitori molto più a lungo che negli altri paesi occidentali, spesso fino ai 30/35 anni, probabilmente questo fenomeno è stato esasperato anche dalla mancanza di lavoro e del precariato che ricorre frequentemente in questo periodo di crisi.”

Alzando gli occhi dal figlio ci guardò incuriosita aspettando una nostra reazione, ma nessuno batteva ciglio. Alla fine le sue compagne cominciarono a commentare: “Be’ secondo me è giusto per esempio che i genitori ci lascino spazi per stare da soli; è normale alla nostra età aver bisogno di momenti di riflessione” “Sì, concordo…” dissi io “Però credete che anche il fatto di essere più o meno dipendenti da internet sia una buona cosa? Personalmente quando arrivo a casa la prima cosa che mi viene da fare è accendere il PC e andare su Facebook e MSN… E questo lo trovo piuttosto drammatico… non credete?” “Bè si certo! Anche io faccio come te effettivamente mi isolo delle ore e sto catatonica davanti al PC a fare nulla. Questo può essere un problema per quanto riguarda la comunicazione tra genitori e figli, ma spesso questo fenomeno è causato anche dalla mancanza proprio di comunicazione tra genitori e figli. Il genitore infatti molte volte quando arriva a casa fa la solita domanda al figlio com’è andata oggi o come stai? Ma la fa solo per sentirsi dire bene, non perché vuole sapere veramente come stia suo figlio.”

“Ancora più drammatico è quando, però,” Interviene una delle due signore che era maestra “ E’ quando un genitore che se n’è sempre fregato del figlio un giorno arriva lì e chiede come stai? allora sì che il figlio ha tutta la mia approvazione per non rispondergli e andarsene davanti al PC o alla TV… Deve esserci una continuità nel chiedere al figlio come stai come è andata oggi. Ci deve essere un rapporto costruito sulla fiducia reciproca, si deve crescere insieme ”

“ Be’ però a volte siamo anche noi adolescenti che ci chiudiamo in noi stessi senza voler approfondire come è andata effettivamente una giornata perché non ci va e diciamo senza troppa fatica quel bene o normale…” “ Quindi…?” Riprende un attimo il punto della situazione la presidente “Non è facile essere né genitore né figli; per comunicare ci deve essere disponibilità da tutte e due le parti. Inoltre il rapporto tra genitori e figli è in continua evoluzione” “Secondo me, però molto spesso i genitori stanno in superficie, senza cercare di scavare nella vita del proprio figlio perchè ha paura di dargli fastidio, vuole rispettare la sua privacy…” Dice l’altra signora “Sicuramente… però un genitore deve fare il genitore!” risponde una ragazza “Però non deve essere troppo genitore deve saper fare anche l’amico…” Un po’ perplessa da quest’ultima affermazione cercai di seguire il suo ragionamento. “Una nostra amica ha la madre che fa solo la madre. Non si interessa dei suoi stati d’animo, di come sta, di come le è

andata la scuola. Qualsiasi cosa le dica la figlia lei la sgrida, non ne vuole sapere di liti adolescenziali; dice che per confidare queste cose ci sono le amiche. La ragazza, quindi si è chiusa ora e non ne vuole più sapere di confidarsi con lei.”

Mmmhh okay credo di aver capito cosa voglia dire…

“E invece per quanto riguarda la paghetta cosa ne pensate?” interrompe la discussione la vice presidente

Parla l’uomo “Direi che è giusto dare una paghetta settimanale ai ragazzi, così imparano ad amministrarsi il denaro, ad essere più indipendenti e a capire il valore dei soldi!”

“Esattamente!” Esclamò l’altra signora che fino a quel momento aveva solo preso appunti sul suo laptop.

Veniamo interrotti da alcuni ragazzi che ci avvertono che il tempo di discussione è terminato e che dobbiamo cominciare a redigere il documento finale.

La vice presidente quindi butta giù un frase riassuntiva. Il signore però ne suggerisce un’altra molto più pragmatica e significativa: per la famiglia work -in -progress …

 

Bianca Viano (3B)

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