Body positivity. Già sentito qualcosa in proposito?
Si tratta di uno degli argomenti più attuali e discussi di questi ultimi anni, ma c’è ancora chi non riesce a comprendere di cosa si tratti realmente.
Si tratta di un movimento politico e sociale che nasce con un obiettivo preciso: abbattere i pregiudizi derivanti dai canoni estetici e culturali imposti dalla società dei consumi. Per quale fine? Far vivere a tutti il proprio corpo come qualcosa di unico e speciale, valorizzare le differenze e le bellezze “diverse” che ci contraddistinguono. Qualcuno, però, associa erroneamente questo concetto solamente al peso o a una taglia in più o in meno dei pantaloni, riducendo così il movimento a qualcosa di riduttivo e insensato.
Il concetto di partenza è “ogni corpo è valido”; di conseguenza, vadano pure a fare la nanna tutti i canoni e gli stereotipi imposti dal nostro contesto sociale.
Il tutto ha inizio nell’ultima parte degli anni ‘60 e con la nascita del movimento Fat Acceptance, il cui scopo era aiutare le persone grasse a non cadere vittima delle cattiverie che la società riservava loro.
Andando avanti di qualche anno, si arriva agli anni ‘90 con la nascita del Body Positive Movement che, anche se su temi diversi, anticipava il movimento Body Positivity. Si trattava ancora in quel contesto culturale di aiutare chi era affetto da disturbi alimentari a riuscire ad accettarsi nel proprio corpo. Così, con l’avvento del nuovo millennio, è già presente la consapevolezza che tutti i corpi meritano di essere rispettati, piccoli o grandi che siano, alti o bassi, magri o grassi, sottili o spessi. L’amore per il proprio corpo deve esistere a prescindere dai canoni di bellezza.
Il discorso però non vale quando, nella convinzione comune e sbagliata che questo movimento possa comprendere solamente chi non incarna i canoni di “perfezione”, si inizia a giudicare e screditare chi – almeno apparentemente – questi canoni li rispecchia.
Adesso prendere di mira chi è considerato troppo magro è diventato normale. Paradossalmente, chi agisce in questo modo finisce per negare proprio i principi alla base del Body Positivity; non si può negare che, di norma, chi è fisicamente più asciutto subisca meno pressioni di chi invece è più in carne, ma si tratta di un comportamento ingiusto in ogni caso.
Chi critica, solitamente, non conosce nulla dell’altra parte, né la sua storia né la relazione che questa ha con il suo fisico: eppure, non si fa problemi a ergersi a giudice in queste situazioni.
Che siano uomini o donne, non ci sono taglie che li rappresentano che vadano bene o male, tutte e tutti contano allo stesso modo.
Ancora più interessante è il comportamento aggressivo, esercitato soprattutto da altre donne, riguardo ai corpi di altre donne che, con il tempo, hanno perso il loro peso iniziale. Le stesse Adele e Rebel Wilson hanno confessato, la prima a Vogue Us, la seconda al The Sun, di come la loro trasformazione fisica abbia portato loro, prima tanta gioia e soddisfazione personale, e successivamente una serie di insulti da parte di persone che nessuna di loro conosceva. Adele nell’intervista riferisce: “I commenti peggiori sono stati fatti da donne nel giudicare il mio corpo. Non mi aspettavo tutto questo e sono rimasta davvero delusa e intristita da questo comportamento”
Come se la decisione di perdere peso non spettasse esclusivamente a loro stesse. Sono entrambe donne adulte e non hanno bisogno dell’approvazione di altre persone per fare quello che desiderano, soprattutto se l’argomento di discussione è il loro corpo.
Infine, forse il dato più triste da constatare è come le aziende stiano facendo del business su questa questione. Per non perdere consumatori hanno cominciato a scegliere persone che non rispettano più i canoni “comuni” e le foto appaiono un po’ più nude (al naturale) rispetto a prima. Eppure, non solo queste persone sono poche ma presentano caratteristiche estetiche comunque generalmente riconosciute come affascinanti.
Che dire quindi? Si può parlare davvero di body positivity o si tratta solo di una facciata? Rispetto a qualche anno fa qualche barriera è crollata e ciò che adesso compare sulle riviste rappresenta un’idea estetica meno astratta, ma non possiamo dire che il problema sia risolto. D’altronde, i danni fatti da un contesto sociale malato si vedono nel corso degli anni e non si possono curare in poco tempo.
Forse, amarci per come si è e capire che il nostro aspetto è solo un’immagine di noi da cui non dipende tutto ci permetterebbe di vivere la vita, e il nostro corpo, con più leggerezza.
Elena Vaudetti