È trascorso ormai un anno dall’11 marzo 2011, uno dei giorni più neri per il Giappone dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale.
Si è trattato di un disastro nucleare: questa è la notizia che ha sconvolto il mondo intero, portando con sé altre parole più tecniche che perdono però di significato, di fronte al lutto di coloro che quell’11 marzo hanno visto le loro case prima scosse dal terremoto, poi rase al suolo dallo tsunami.
La catena di sfortune che si è abbattuta sulla città ha posto fine ad oltre ventimila vite. Fra coloro che sono riusciti a resistere, c’è chi si rifiuta di abbandonare la propria fattoria, incurante del rischio causato dalla presenza di radiazioni e chi, invece, si stringe agli altri sopravvissuti in uno dei numerosi campi di rifugiati allestiti dal governo per far fronte all’elevatissimo numero di sfollati.
L’evento ha fatto sì che il Giappone si rendesse conto del pericolo che sempre accompagna la gestione dell’energia nucleare: il primo ministro Naoto Kan ha reso noto nel maggio 2011 che la costruzione di altre 14 centrali nucleari sul suolo nipponico sarebbe stata fermata.
Per un’amara ironia della sorte, quel solo evento catastrofico ha causato una reazione a catena. La popolazione mondiale sembra aver aperto gli occhi sulla realtà stessa della natura: imprevedibilità e potenza incontrollabile. Coerentemente con questa presa di coscienza, la Cina ha detto no ad altri 26 impianti nucleari, mentre Germania e Svizzera hanno annunciato d’aver intenzione di cancellarne i programmi rispettivamente nel 2022 e nel 2034.
Nel frattempo Owada, un contadino che vive con la moglie in una delle abitazioni temporanee offerte dal governo giapponese, confessa di aver perso ormai la speranza: se anche Fukushima riuscisse a rialzarsi, nessuno comprerebbe più i prodotti della sua terra, temendo che questi siano stati avvelenati dalle radiazioni ancora presenti nell’aria e nell’acqua.
Il coraggio di ricominciare, nonostante il tempo trascorso, sembra un’ombra per gli abitanti della città che è diventata simbolo della riflessione di poeti come Leopardi: la piccolezza umana rispetto ad una natura spesso matrigna.
Eleonora Rossi (5B)