Siamo sempre più guardati come una nuova generazione di scapestrati. Una delle ragioni di tanto disprezzo è l’apparente noncuranza che abbiamo per ogni cosa.
Un piccolo esempio? I compiti corretti: dimenticati l’attimo dopo la visione del voto e le relative lamentele. Così come l’amore per idoli nuovi ogni giorno e fidanzati cambiati come i
calzini.
Sappiamo ancora apprezzare le piccole cose su cui i romantici basarono le loro poesie?
Siamo la generazione delle sigarette elettroniche alla nocciola e degli Iphone a cui cambiare la cover ogni giorno; delle persone giudicate in base ai “ventordici” mi piace. Viviamo per i braccialetti dell’amicizia; gli spotted anonimi per non sputtanarci; tra chi crede nella giustizia, chi nel karma, chi invece ACAB.
Sosteniamo mantra comuni nei quali scrollarsi di dosso i problemi altrui non è crudele, nei quali ci riteniamo persone pacifiche, ma bisognose di spazio, per poi aspettarci un costante supporto dagli amici. Ci chiediamo di continuo cosa possa fare un singolo contro tutti: probabilmente cerchiamo una risposta che non c’è, ma è un’ottima scusa per passare la notte in bianco e saltare la verifica di matematica.
Ci dicono di aspettare. Quando saremo grandi, allora sapremo tutto. Ora serve studiare e al divertimento si dovrà pensare a tempo debito.
Ci chiamano giovani deviati, wannabe; ci dicono che siamo di pessimo gusto e irrispettosi.
Il risultato è che ci crediamo pure noi.
Oppure, forse, siamo una generazione stupenda. Dobbiamo solo trovare il coraggio di uscire dal nostro nido di ragno, prima di saltare in aria come quelli raccontati da Calvino.
Stella Camilla Brao