La giustizia assoluta è quell’utopia che l’uomo rincorre da secoli, fra ipotesi, confronti, errori commessi e incomprensioni da sciogliere. Più la si desidera, più si rischia di perseguire un obiettivo sempre più sfocato o peggio, personalizzato. E’ paradossale: per cercare l’uguaglianza dei diritti e dei doveri fra gli individui, si deve mettere da parte il proprio senso del giusto (lo stesso che ci guida in questa ricerca) e il proprio parere per astrarsi ed arrivare a cercare la giustizia solo con la ragione e la razionalità, che troppo spesso sembrano esageratamente ciniche e fredde. La giustizia forse non è quel bene soddisfacente che ci si può aspettare guardando le orde di avvocati delle sitcom americane o i paladini dei fumetti, che sanno esattamente chi è il bravo e chi il cattivo, regalando alla lecita morbosità del pubblico un giusto finale per ognuno. Il mondo troppo spesso viene diviso semplicemente in buoni e cattivi, ognuno col suo destino; ci si dimentica del fatto che nella realtà, buoni o cattivi, si è prima di tutto uomini. Uomini con dei difetti e con delle chance, facenti parte della società esattamente come gli altri, col terribile e bellissimo diritto di sbagliare. L’unico diritto che la nostra società riconosce ed allo stesso tempo punisce. Ma senza fermarsi a ragionare su queste osservazioni, gran parte delle persone colte in un delirio di notiziari e cronaca nera, in cerca di scandali nella realtà (la fiction non basta più) dà il via ad un processo senza regole, che non ha come scopo finale la giustizia, ma la semplice soddisfazione (e spesso rassicurazione) personale: il processo mediatico. Questo processo portato agli estremi in questi ultimi decenni, troppo spesso scambiato per una manifestazione di democrazia, ha condizionato l’organo giudiziario per anni ed anni, dimentico del fatto che quello stesso sistema è frutto di una tradizione di esperienze, di una selezione e di una evoluzione. Eppure le ricostruzioni negli studi televisivi, le ipotesi di emeriti sconosciuti affascinano molto di più l’opinione pubblica che non il reale processo in un’aula di tribunale, segnando pareri, schieramenti ma soprattutto dando un taglio alla vicenda in esame basato su tutto, meno che sull’oggettività. Sfruttando l’insaziabile voglia di notizie, certezze e “giustizia” del pubblico i principi di presunta innocenza, di privacy o più semplicemente di umanità vengono messi da parte per dare spazio ad un giudizio che andrà a parare esattamente dove l’opinione pubblica troverà più comodo schierarsi. A quanto pare la legge dell’audience supera la legge civile, e i rappresentanti di questo nuovo metro di giudizio non si fanno scrupoli a sconvolgere la vita di un uomo solo per raggiungere ancora una volta lo Share desiderato. La giustizia non dovrebbe regalare soddisfazione, dovrebbe essere la base di una convivenza civile in cui tutti sanno di avere le stesse opportunità, gli stessi obblighi e gli stessi diritti, con tutte le oggettive conseguenze che ne derivano.
Eugenia Beccalli (3F)