Homecoming is a big deal

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Homecoming is a big deal - foto di Matilde RevelliQuasi due mesi sono passati da quando gli exchange students diretti in America hanno messo piede nella “terra della libertà”. Due mesi in cui ognuno è riuscito, chi più chi meno, a farsi degli amici con cui andare ai party, ad avere buoni voti a scuola (non che sia troppo difficile), a non ingrassare troppo, o anche solo ad entrare mente e corpo nella cultura dalla quale si è circondati. Due mesi in cui il tempo è passato gradualmente dal caldo afoso e umido, all’autunno frizzante e all’inizio dell’inverno, con il suo vento gelido e le temperature che non superano mai i 60 gradi Fahrenheit. Due mesi significano, per gli exchange students, la possibilità di partecipare al primo grande evento scolastico, ovvero l’Homecoming.
L’Homecoming, come facilmente deducibile dal suo nome, è il ballo di inizio anno che coinvolge tutta la scuola (al contrario del Prom, tenuto verso maggio, riservato solo a juniors e seniors), e con la parola “coinvolge” si intende una vera e propria onda di eccitazione che corre per tutta la scuola con un mese di anticipo.
Tutto comincia a metà settembre, quando le ragazze entrano in uno stato che non nasconde la fibrillazione dell’attesa, in quanto aspettano solo che un amico, o anche solo un ragazzo qualsiasi, chieda loro di accompagnarlo al ballo. La stessa cosa vale per i ragazzi, e nonostante cerchino di nasconderlo in realtà anche loro si preparano per il grande evento tanto quanto le loro coetanee, scegliendo una fortunata da invitare o anche solo cominciando a risparmiare soldi per la serata. È usanza, infatti, che il ragazzo paghi alla sua compagna non solo il biglietto per il ballo (che si aggira intorno ai venti dollari), ma anche la cena al ristorante prima e, nel caso, dopo l’evento. Raccattare del denaro per l’intera serata potrà sembrare una sciocchezza, ma i teenager americani non possono contare sull’aiuto di mamma e papà tanto quanto i loro compari italiani. Sin dal momento in cui mettono piede al liceo, infatti, i ragazzi sono considerati pressoché i
ndipendenti e perciò devono pagarsi le spese da soli, con il frutto del loro lavoro e senza l’aiuto dei genitori su cui gli italiani fanno tanto affidamento.
Il passo successivo, che precede il ballo di un paio di settimane, è eleggere i concorrenti per il posto di Homecoming King and Queen. Gli studenti più popolari della scuola vengono nominati dai loro coetanei, e i dieci con più voti entrano nella Homecoming Court, dalla quale verranno poi votati il ragazzo e la ragazza che avranno l’onore di portare la corona della vittoria.
Così, tra un consiglio riguardo al vestito e un timido “Yes” in risposta a “Would you like to come to Homecoming with me?”, senza dimenticare la routine di tutti i giorni, si arriva finalmente al venerdì che precede la settimana del ballo, ovvero la Spirit Week.
Gli Americani, infatti, da bravi sovraeccitati quali sono, prendono tutto sul serio e soprattutto amano travestirsi. Due cose che, messe insieme, producono un effetto che può essere entusiasmante o disastroso. L’effetto in questione si risolve nella festa di Halloween, in un caso, e nell’altro proprio nella Spirit Week. Il tutto consiste in cinque giorni a tema, temi che variano ogni anno e possono essere i più disparati, in cui studenti e insegnanti si divertono ad indossare abbigliamenti assurdi ed insensati, senza preoccuparsi di apparire adeguati o attraenti (non che di solito ci pensino, comunque).
Il venerdì il venerdì prima della Spirit Week è un giorno fondamentale, poiché vengono finalmente annunciati i temi dei cinque giorni successivi e gli studenti possono pianificare i propri outfit, comprando ciò che manca o chiedendo agli amici di farselo prestare. Dal lunedì al giovedì, infatti, è possibile vedere in giro per tutta la scuola coppie di amici vestiti identici, supereroi reali o inventati, cowboys e quant’altro, e sono disprezzati coloro che non partecipano con entusiasmo all’ondata di divertimento. Venerdì è definito Spirit Day, in quanto tutti gli studenti e insegnanti sono tenuti ad indossare i colori della scuola per supportare al massimo i ragazzi della squadra di football che giocheranno la sera stessa. Nel caso della Norwood High School a Norwood, Ohio, il venerdì mattina è possibile vedere studenti che corrono a scuola tutti intabarrati nei colori rosso, bianco e blu, felici perché quel giorno le lezioni finiranno un’ora prima per dare spazio al Pep Rally.
Il Pep Rally non è definibile con la parola “evento”, e neppure con altri sinonimi, ma solamente come un’esplosione di gioia e pazzia, un motivo per gli studenti di liberarsi dal peso dello studio e di sfogarsi con cori e giochi tifando la squadra tanto amata. Tutto il personale della scuola, dai giovani freshmen al direttore, si riunisce nell’immensa palestra per un’ora di pura follia, caratterizzata dalla nomina dei fortunati Homecoming King and Queen sommata a canti e coreografie offerte dalle cheerleaders. Specialmente i seniors si danno da fare per aumentare il livello di frenesia, continuando ad urlare l’anno della loro classe (“Two-O-One-Three!”) e fischiando i poveri freshmen, sophomores e juniors quando cercano di fare lo stesso. Insomma, non c’è da stupirsi se alla fine dell’assemblea ci si ritrova con la voce roca e la gola che brucia.
Si arriva così, finalmente, al giorno del ballo.
Le ragazze, da brave rappresentanti del genere femminile, fin dal mattino si fiondano da parrucchieri, nail artists e negozianti per alcuni acquisti dell’ultimo minuto, aspettando ansiose il momento in cui il loro eventuale compagno suonerà il campanello di casa per porgere il braccio, accompagnarle alla macchina e portarle via. Le porte della scuola aprono alle sette, ma gli studenti sono in giro già dalle cinque del pomeriggio per riunirsi con gli amici, dirigersi ad uno degli innumerevoli parchi della città e scattare quante più foto possibili, circondati dai genitori che tutti eccitati impongono pose ed espressioni, quasi a livello dei paparazzi. Dopo i giovani vanno al ristorante, i ragazzi offrono la cena alla loro compagna da veri galantuomini, e si finisce nella buia caffetteria della scuola, addobbata con luci stroboscopiche e un tappeto rosso su cui sfilerà l’intera Homecoming Court. La musica forte rispecchia i gusti di ogni studente, poiché il DJ si diverte a passare da canzoni come Sweet Child O’ Mine della band americana Guns N’ Roses alla più moderna e conosciuta Gangnam Style (“Eeeeeeeeh … Sexy lady!”).
Alle undici chiude tutto, le luci si accendono brutalmente e fanno giorno su studenti sudati, stanchi e felici, con sorrisi che corrono da un orecchio all’altro. Si fa una corsa al guardaroba per prendere giacche e borse e poi tutti in macchina, diretti a casa per cambiarsi e uscire di nuovo poco dopo alla volta di un party o semplicemente di un posto dove mangiare. Un exchange student italiano, abituato alle squallide serate in discoteca piene di gente ubriaca che vomita ovunque, può ritrovarsi sorpreso da questo modo americano di festeggiare l’inizio dell’anno, e forse non capire del tutto l’eccitazione dei coetanei stranieri.
Ma forse non è possibile capire interamente la grandezza e l’importanza della situazione fino a quando non la si vive, e quanto il tutto sia considerato una cosa di enorme rilevanza e assolutamente da non tralasciare. “A big deal”, come dicono qua in America.

Matilde Revelli (4B) 

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