Il 26 settembre di quest’anno, in Messico nella città di Iguana, 43 studenti della scuola Rurale Ayozinapa sono scomparsi mentre protestavano contro la privatizzazione dell’istruzione. Questo avvenimento ha provocato l’accendersi di impetuose manifestazioni che il governo non ha potuto ignorare anche perché hanno attirato l’attenzione della stampa straniera. Dopo le indagini, che hanno portato alla luce decine di corpi non riconoscibili sepolti in “narcofusas” (sepolture di vittime di bande si spacciatori, le cosiddette “narcos”), le autorità hanno rilasciato una versione ufficiale dei fatti. Sembrerebbe che il mandante sia il sindaco José Luis Abarca (ora in carcere insieme ad alcuni poliziotti, latitante invece il capo della polizia), il quale avrebbe fatto arrestare i giovani e li avrebbe fatti consegnare dalle forze di polizia alla banda di narcos locale “Guerreros Unidos”, questi infine avrebbero commesso i brutali omicidi di cui risparmio i dettagli. A quanto pare tra i sicari sono venuti a galla dei “pentiti”, che hanno ammesso tutto. Le testimonianze dei presunti colpevoli, però, andrebbero accolte con riserbo, vista la fretta e la necessità con cui il governo di Enrique Pena Nieto ha dovuto e voluto chiudere il caso.
A prima vista la vicenda dovrebbe essere uno scandalo: i funzionari del governo che collaborano con le bande di narcos? Ciò dovrebbe suscitare uno scalpore inaudito fuori e dentro il paese. Dovrebbe. Se non fosse che il rapporto tra le istituzioni e le bande di narcotrafficanti non è una novità per il Messico poiché è stato documentato in tutto il paese, anche in violazioni dei diritti umani che implicano l’esercito e la polizia in casi di sparizioni e omicidi. Non solo: l’episodio, essendo particolarmente in vista, danneggia ciò che il presidente sostiene fin dalla campagna elettorale, ovvero che le scomparse e la violenza nel paese sono solo una questione di immagine: non sono così diffuse come si crede, sono i media che, parlandone troppo, danno un’impressione sbagliata. Dopo la sua elezione e varie pressioni a organi di stampa, infatti, i casi di omicidi e sparizioni sono diminuiti. O meglio: sono diminuiti nei dati forniti ai media dalla Stato. Le organizzazioni per i diritti umani stimano che dal 2006 sono sparite circa 200.000 persone, anche se il governo riconosce soltanto 26.000 scomparse. A quanto pare, però, Pena Nieto è stato abbastanza convincente anche con la stampa estera. Nel febbraio scorso è infatti finito sulla copertina della rivista americana “Time” con il titolo “Saving Mexico” ed è stato elogiato dal giornale britannico “Financial Times” in un articolo riportato in seguito su “Il Sole 24 Ore” in cui si consiglia al premier Renzi di prendere esempio da lui.
Si è occupato della situazione messicana il giornalista italiano Federico Mastrogiovanni, che nel suo libro “Ni vivos ni muertos” definisce il concetto di “despariciones forzadas” e muove alcune pesanti accuse nei confronti dello Stato del Messico. Le despariciones forzadas, in italiano “sparizioni forzate”, sono quei sequestri di persona che vedono un intervento dello Stato a qualsiasi livello, per azione o omissione. Il giornalista spiega in un’intervista “Per la stampa messicana, ogni caso era a sé, isolato, frutto di una violenza generalizzata, senza nome e senza senso. […] quello della desaparicion forzada non può essere un fenomeno casuale, perché in tal caso non potrebbe avere queste dimensioni”. Illustra, nel suo libro-inchiesta di come il governo degli ultimi due presidenti, dietro lo “scudo” costruito dai media di un’apparente lotta alle bande di narcotrafficanti, nasconde una metodica politica del terrore nei confronti dei cittadini. Gli individui che scompaiono, spesso proprio per mano di bande di narcos, vengono fatti passare per persone che avevano a che fare con le bande criminali e che quindi, se non erano proprio criminali anche loro, erano comunque qualcuno che se l’era andata a cercare. Incriminare le vittime è non solo un ottimo modo per screditare chi ha atteggiamenti ribelli ma anche una buona strategia per scoraggiare i parenti a denunciare la scomparsa.
Ma che interesse ha uno Stato nel far vivere i propri cittadini in questo modo? Mastrogiovanni ha notato che i soprusi e le prepotenze vengono attuati con più frequenza nelle aree dove c’è un’abbondante presenza di risorse naturali. In queste zone è stato necessario muovere gran parte o addirittura tutta la popolazione locale per attuare lavori di estrazione. A trarre profitto da tutto ciò sono le industrie che estraggono il petrolio, il gas e tutte le altre risorse del sottosuolo. Secondo la ricostruzione del giornalista, in un clima di terrore in cui si teme di fare un passo falso e di diventare la prossima vittima è improbabile che nascano ribellioni di massa nei confronti dei macropropositi del governo. La tesi di Mastrogiovanni è inoltre confermata dalla nuova riforma energetica attuata dal primo ministro, che tra l’altro, ignorando quanto è scritto nella Costituzione, prevede la progressiva privatizzazione delle risorse del terreno, tutto per rispettare gli accordi presi con USA e Canada nel dominio del North America Free Trade Agreement.
La situazione è molto complessa e non del tutto chiara. Non si vedono vie di fuga al momento ed è difficile immaginare come il Messico possa uscire da questo periodo di profonda corruzione delle istituzioni e di miseria e terrore per gran parte della popolazione. Quel che si può fare è cercare di informarsi sempre e attingendo da più fonti, perché probabilmente, se questa vicenda fosse stata più conosciuta a livello internazionale, lo Stato messicano avrebbe incontrato maggiori difficoltà a far passare sotto silenzio le atrocità commesse.
Elisabetta Colonna (4B)