“I figli della mezzanotte”, pubblicato nel 1981, è l’opera che ha rivelato al mondo il talento di Salman Rushdie. Il libro narra le vicende di mille e uno bambini nati il 15 agosto 1947, allo scoccare della mezzanotte. E’ quello il momento in cui l’India ha proclamato la propria indipendenza dall’Impero britannico e tutti i nati in quest’ora così importante sono dotati di superpoteri: chi riesce a passare attraverso gli specchi, chi è talmente bello da bruciare chi lo guarda, chi ha poteri da alchimista. Ma nessuno ha la capacità di Saleem Sinai, il protagonista, di entrare nelle menti altrui: è telepatico.
La vicenda è basata su un mondo di meraviglie tratto dalla reale storia dell’India, con personaggi curiosi, eventi straordinari e drammatici, realtà ambigue, realistiche e fantastiche.
A fare da sfondo c’è l’India al tempo dell’indipendenza e la sua divisione con il Pakistan, iniziata il 13 aprile ad Amristar con una protesta pacifica nei confronti del dominio inglese, per culminare con il racconto della dolorosa separazione dei due territori, la diaspora di intere popolazioni e la minaccia del fondamentalismo religioso. Accompagnano questi avvenimenti tumulti sociali per contrasti linguistici o religiosi tra pakistani, indiani, musulmani, induisti e altri gruppi; segue la guerra dell’India con la Cina, quindi la guerra con il Pakistan del 1965 e del 1971 ed infine l’instaurarsi del regime autoritario di Indira Gandhi.
Fantasticamente, sono ripresi in primo piano il protagonista Saleem Sinai, un personaggio comicamente brutto, ma simpatico ed amabile, e i membri della sua famiglia.
Tra questi, all’inizio incontriamo il nonno dottore che esamina una paziente, che poi sposerà, attraverso il ritaglio di un lenzuolo sospeso fra i due per ragioni di pudore. Appaiono poi saltimbanchi, maghi, avvoltoi, scimmie, serpenti, fachiri, chiaroveggenti, si sviluppano intrighi come lo scambio dei neonati.
Oggi forse non ci pensiamo, ma quanto sono importanti nelle nostre vite il percorso, le esperienze dei nostri avi, il modo di affrontare gli eventi, le loro gioie e le loro paure, che vengono trasmesse a noi inconsciamente attraverso gli atteggiamenti dei nostri genitori?
Rushdie lo sa bene e intesse, non sempre in maniera subito comprensibile, le trame di vita di ben tre generazioni inserite nei drammatici eventi storici che animano il Novecento del continente asiatico.
Ma veniamo al grande nodo tematico del libro, che altro non è che il paesaggio politico che caratterizza la narrazione. E’ il 1947: un immenso paese, l’India, si dichiara indipendente dalla Gran Bretagna e si proclama democratica, un territorio di stati differenti, con molti culti diversi, dall’ indù, al musulmano, al cristiano, al buddista, al giainista così come le lingue parlate e le divinità.
Rushie dice che in quella notte nacquero mille e uno bambini, rappresentanti di diverse tematiche a seconda dei punti di vista: li si può considerare come un ultimo sprazzo antiquato e retrogrado di una nazione infestata da miti che si apre ad una moderna economia, o semplicemente la speranza di una nazione, la speranza di libertà.
L’India era e rimane un paese immenso, pieno di assurde contraddizioni di miseria e nobiltà, di modernità e caste, di libertà ma anche di costumi repressivi. Eppure come democrazia c’è ancora oggi ed è un paese a cui non si può guardare se non come speranza, la stessa speranza che Rushdie alimenta con i suoi scritti. L’India può avere un ruolo determinante per gli equilibri in Oriente e Medio Oriente, anche perché è un paese in cui la cultura intesa come radice profonda dell’identità ha un peso enorme nella vita di tutti, dalla povera gente alla classe media ai ricchi costruttori e governanti, come deve essere in un paese del futuro.
Ilaria Dosio (2B)