Ogni persona, purtroppo, nel corso della sua vita osserva numerosi minuti di silenzio. Minuti in cui i comportamenti sono molto diversi. C’è chi ha lo sguardo perso ed è concentrato sui temi più improbabili (ovviamente lungi dal tema per cui si sta tacendo). Altri che fissano l’orologio impazienti di ricominciare ad aprire la bocca per darle fiato. Altri ancora, i più rari, che cercano disperatamente di concentrarsi sull’accaduto, riportando i propri pensieri sulla retta via. Soprattutto quando questi erano da tutt’altra parte. Un attimo, un minuto, sessanta secondi. Non si può pensare di dedicare solamente una tacca dell’orologio a centinaia di vittime. Non si può generalizzare solo con la parola “vittime”. Per i loro cari non erano solo persone, ma padri, madri, figli, figlie, fratelli e sorelle. Quelli che noi sopravvissuti chiamiamo vittime avevano dei nomi. Nomi che per chi li conosceva sono ben più che insiemi di lettere dal suono gradevole: ricordi, abbracci, sorrisi, ma anche litigi, parole forti. Perché noi tutti siamo parole forti. Noi tutti siamo il nostro sguardo, ciò che scriviamo e raccontiamo. Noi tutti siamo il nostro peggior ricordo e quello più felice. E non possiamo essere accomunati con una sola parola. È sul serio possibile per 60 secondi pensare a persone che non abbiamo mai visto, spari che non abbiamo mai sentito e lacrime che non abbiamo mai versato? Chiunque tace per sessanta secondi, dovrebbe invece urlare ciò che pensa. Bisognerebbe dibattere, cercare soluzioni, riflettere insieme. Non si può solo tacere in onore di chi è morto perché chi mai vorrebbe solo il silenzio in proprio ricordo? Chi è morto ci ha messo ben meno di sessanta secondi, è bastato un solo attimo perché scomparisse dal mondo. Un attimo, perché l’immaginario contatore delle persone scendesse di un numero. Perché per la statistica è così: le vittime sono numeri. Bisogna però aprire gli occhi e realizzare ciò che è realmente accaduto. Sarebbe comprensibile tacere per ascoltare le loro voci, ascoltare per un anno intero le vite di chi non è scampato agli attentati. Ma in quel minuto, pur nel silenzio di tutti, nessuno viene ascoltato. Non bisognerebbe, però, tacere solo per chi è morto in un attentato in un paese amico e nel frattempo voltare la testa per il resto del mondo. Per tutti quelli che in paesi di guerra muoiono, soffrono, e sono costretti a guardare in faccia tutto ciò che in una vita non si dovrebbe mai vedere. Dimenticando questo, quei sessanta secondi diventano solo ipocrisia.
Nicole Lomuscio (1H)