Spesso sentiamo parlare della povertà, del degrado ambientale e sociale, delle pessime condizioni dei cosiddetti “Paesi del terzo mondo”. Giornali, telegiornali, programmi televisivi, a volte addirittura spot pubblicitari; tutti ne parlano, ma forse non ci si rende davvero conto che un “terzo mondo” non esiste affatto: è il nostro mondo, un mondo unico, che però noi, piccoli sciocchi esseri umani, suddividiamo in base al ceto sociale, al contenuto del portafoglio e del conto bancario dei suoi abitanti.
Consideriamo “Paesi del terzo mondo” gli Stati più poveri e degradati, senza un governo efficiente, quelli che non vantano grandi case di moda, enormi industrie o famosi cantanti, attori, artisti, musicisti, stilisti; gli Stati, insomma, che se non fosse per lo sconsiderato grado di povertà nessuno conoscerebbe. Ci si potrebbe chiedere il motivo di tanta povertà in Stati che sono quasi i nostri “vicini di casa”, mentre noi viviamo felici e contenti nelle nostre comode, calde, accoglienti casette. Ed è probabilmente proprio questo uno dei tanti motivi per cui i Paesi del terzo mondo sono tali: troppe persone povere e troppo poche persone ricche e potenti; se almeno quei pochi impiegassero il loro potere e il loro denaro con un minimo di saggezza … ma no: quell’incredibilmente piccolo numero di persone esageratamente ricche fa un uso totalmente sbagliato e socialmente inutile dei loro beni.
Come Stato benestante (relativamente parlando, considerate le ultime novità economiche del nostro Paese), abbiamo il dovere morale di sostenere economicamente i Paesi più poveri, come quelli del terzo mondo; il problema, però, è che noi, poveri umani impertinenti, siamo convinti di poter risolvere tranquillamente la situazione semplicemente inviando periodicamente una buona quantità di soldi al Paese del terzo mondo (i cui abitanti ci fanno tanta pena). Assolutamente sbagliato: è la cosa peggiore che si possa fare. Elemosinando denaro ad un paese più povero ed economicamente non autosufficiente non si fa altro che incrementare la sua dipendenza economica dallo Stato “solidale”. Il che, ovviamente, non è un bene. Nel momento in cui quest’ultimo non sarà più in grado di mantenere contemporaneamente il Paese povero e degradato e sé stesso, infatti, il Paese povero e degradato regredirà fino alla condizione in cui si trovava prima del nostro intervento, se non peggiore.
E quindi? Come risolvere la situazione, e chi ha la volontà, il potere, i mezzi e le idee per farlo? La gente dice che il futuro è in mano a noi giovani, e ha ragione. Ma, se è davvero così, allora temo che ci sia ben poca speranza per il prossimo futuro.
Come possiamo pretendere di cambiare il mondo se le nostre uniche preoccupazioni variano da cosa indossare la mattina a quanti chili perdere per raggiungere la tanto agognata taglia 40, da decidere quante ore trascorrere alla playstation o al computer, all’esito della fatidica partita tra la nostra squadra del cuore e la sua temibile avversaria? Vogliamo cambiare il mondo, sì, ma solo quando guardiamo i telegiornali o sfogliamo il libro di geografia.
A volte penso che sarebbe utile trascorrere un mese seguendo lo stile di vita in un Paese del terzo mondo: insieme a loro, nelle loro case, nella loro vita, nella loro realtà, nel loro mondo. Un mondo in cui spesso i bambini (specialmente le femmine) non possono andare a scuola, un mondo in cui si dorme in capanne di fango e paglia, con letti di pelli di animali, o in baracche di fortuna, costruite con plastica e lamiera; un mondo che non consente ai propri abitanti di andare all’ospedale per ristrettezze economiche, un mondo in cui bisogna percorrere chilometri per arrivare ad una fonte d’acqua (neanche pulita, per altro). Questa è la vita in un Paese del terzo mondo; e penso che, abituati come siamo a vivere nella bambagia più totale, serviti e riveriti come dei piccoli principi nel nostro regno dorato, lì noi non potremmo sopravvivere una settimana.
Sì, il futuro è nelle nostre mani, ma se non ci sforzeremo di cambiarlo la situazione peggiorerà sempre più rapidamente: i Paesi che vivono alle dipendenze di Stati relativamente ricchi non raggiungeranno mai la minima indipendenza reale dai loro aiuti, e gli Stati che mantengono più Paesi oltre al proprio vedranno diminuire i loro capitali come fossero cioccolatini in una scatola lasciata nelle mani di un bambino goloso. Forse c’è ancora speranza, ma non in queste condizioni.
Alberta Ivaldi (1D)