I Passi della Storia

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Thyssen 

In questi giorni a Torino, in Corte d’Assise, si è aperto il processo per la tragedia sul lavoro alla Thyssen del dicembre 2007 che è costato la vita a sette operai ghermiti dal fuoco nella famigerata linea 5. Per la prima volta l’amministratore delegato Erald Espenan dovrà rispondere di omicidio volontario, invece che colposo, per morti che siamo abituati a chiamare “bianche”. Questo perché il pubblico ministero ha ritenuto che le norme di sicurezza fossero state violate così apertamente da configurare un caso di totale disprezzo della vita umana.

 Disprezzo della vita umana che sembra indissolubilmente legato al nome Thyssen.

Qualche anno fa il fotografo David  Litchfield fu incaricato dalla famiglia Thyssen di realizzare un libro che rappresentasse la gloriosa storia della dinastia. Iniziando a raccogliere materiale, Litchfield si è imbattuto in alcuni documenti che provavano una vecchia storia che risaliva agli ultimi giorni del Terzo Reich e di cui si era a lungo vociferato al termine del conflitto: “La notte tra il 24 e il 25 marzo 1945,  le truppe dell’Armata Rossa erano a 15 chilometri dal castello di Rechnitz, sul confine tra Austria e Ungheria, residenza di Margit Thyssen-Bornemisza, maritata al conte Ivan Batthyany. Che il Terzo Reich fosse al crollo era chiaro, ma gli dei caduti erano più sprezzanti e mostruosi che mai. Margit organizzò l’ultima festa: 40 persone, tra Gestapo, SS e giovani nazisti. Fino a mezzanotte, balli, vino, liquori. A quel punto, però, serviva qualcosa di speciale che potesse fare ricordare quei momenti cruciali. Franz Podezin, un amministratore della Gestapo che aveva anche una relazione sessuale con la Thyssen-Bornemisza, prese l’amante e una quindicina di ospiti, li armò e li accompagnò a una vicina stalla. In alcuni locali del castello, erano ospitati (in condizioni tremende) circa 600 ebrei che avevano il compito di rafforzare le difese della zona e Podezin ne aveva presi 200, non più in grado di lavorare, e li aveva portati in quella stalla. Raggiuntala assieme agli ospiti li invitò a sparare «a qualche ebreo». Cosa che i pazzi ubriachi fecero dopo avere fatto denudare le vittime. Un massacro. Un certo Stefan Beiglboeck, la mattina dopo, ancora si vantava di averne massacrati sei o sette a mani nude. Tutti morti, tranne 15 che dovettero scavare le fosse e che il giorno successivo furono ammazzati a loro volta. I sovietici arrivarono pochi giorni dopo, il 29 marzo, e il 5 aprile compilarono un rapporto nel quale dicevano che «in tutto sono state trovate 21 tombe» ciascuna delle quali conteneva dai dieci ai dodici corpi. «Apparentemente — aggiungeva — sono stati colpiti con bastoni prima di essere uccisi» con armi da fuoco. Il documento fu ritenuto propaganda comunista e dimenticato.”

Del resto dobbiamo ricordare che le fortune industriali della famiglia Thyssen sono costate, e hanno comportato, la perdita di moltissime vite umane, al punto che il fondatore Fritz fu condannato al processo di Norimberga per l’aiuto ricevuto dalla macchina da guerra nazista e per le condizioni nelle quali prigionieri di guerra erano costretti a prestare la loro manodopera.

Possiamo quindi concludere che anche questo episodio ci dimostra che spesso la Storia ritorna sui propri passi e che questo sembra accadere più facilmente quando questi, invece che di vita, sono di morte.

Massimo Gavioso (1E)

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