È un annoso problema per l’uomo, quello di scegliere tra la vita spirituale e la vita mondana. È difficile decidere se rivolgersi a esseri ultraterreni per raggiungere la salvezza spirituale o se lasciarsi andare all’ “hic et nunc” della vita, coltivando progetti che, come tutti sanno, prima o poi sono destinati a finire, allo stesso modo di come, a finire, siamo destinati tutti noi. La giovane Ida, il cui futuro prestabilito è diventare suora, di questi problemi non se ne pone, essendosi affidata fin dalla fanciullezza alle cure del monastero che l’ha accolta orfana e che l’ha cresciuta nel segno della devozione alla “parola di Dio”. O almeno non se ne pone fino alla comparsa di sua zia. Incontrata quasi per caso, questa donna, magistrato del Tribunale del Popolo nella Polonia socialista, riesce a mostrare alla futura “sorella”, con il pretesto della ricerca dei responsabili della morte dei genitori della nipote, alcuni degli elementi costitutivi della vita mondana e mette in discussione alcuni dei precetti più importanti sui quali si è basata la formazione culturale e spirituale di Ida. La ragazza, oltre a scoprire di essere ebrea, viene scagliata di fronte alla nuda realtà e da essa viene allo stesso tempo affascinata e spaventata, fino al punto da prendere la decisione di provare l’amore carnale per il giovane sassofonista, che crede di amare, e di rimandare di qualche tempo la presa dei voti. Purtroppo, come spesso accade, anche la vita mondana non riesce a soddisfare le esigenze di Ida che, ormai consapevole dell’inconsistenza sia della strada clericale che della via della realizzazione nel mondo “terreno”, vaga alla ricerca di un senso che, dentro di sè, sa già che non troverà mai. Questo breve (eppure piuttosto impegnativo) film è realizzato con un gusto tipicamente est-europeo e ogni inquadratura viene curata nei minimi dettagli (anche con l’ausilio del bianco e nero), rendendo appieno il paradosso di una suora immersa nella Polonia comunista, che, con la sua soffocante architettura, sembra non lasciare spazio a una figura debole e fragile come quella di Ida. Anche la musica gioca un ruolo fondamentale. Ai canti religiosi del monastero si affianca la sontuosa musica trasmessa dalla radio statale, che stona evidentemente con la realtà polacca del secondo dopoguerra. La musica della speranza, invece, è rappresentata da “Naima”, di John Coltrane, che, suonata da colui del quale Ida si innamora, diventa il simbolo del miraggio di una vita di coppia felice e di una realizzazione terrena che, in realtà, non darà mai nessuna soddisfazione duratura alla giovane ragazza, alla quale non basta una vita tranquilla e senza preoccupazioni. “Ida”, quindi, si presenta come manifesto di un nichilismo che, seppur agevolato dal contesto storico nel quale la storia è ambientata, è destinato a investire l’uomo nel suo complesso, lasciandolo smarrito in un buio del quale non si vede nessuna via d’uscita.
Marco Politti (5D)