In un modo o nell’altro, noi italiani saremo sempre considerati quelli del “fatta la legge, trovato l’inganno”. Poteva, quindi, mancare l’italianata sul famoso e discusso bonus cultura? Un neodiciottenne di Bari non ha dubbi: assolutamente no. Ed ecco la genialata, anche se è paradossale affermarlo. Sfruttare il Bonus per guadagnare qualche soldo in più. La truffa era molto semplice: su un gruppo Facebook Gennaro scrive di vendere qualsiasi libro a metà prezzo. Gli acquirenti gli fanno un bonifico su un conto privato e lui lo compra con i 500 euro di Renzi. Quindi lui riceve la paghetta senza finalmente dover interpellare i genitori, mentre gli amanti della lettura si accaparrano un libro pagandolo la metà. Non fa una piega. Tranne per il sottile ma non insignificante particolare che il bonus nasceva con uno scopo ben preciso: promuovere la cultura tra chi, forse, più ne ha bisogno.
Dal 3 novembre 2016 diventa possibile, per i nati nel ’98, fare richiesta per ottenere il bonus di 500 euro da spendere in libri, concerti, musei, cinema, e più in generale per qualunque altro evento culturale. Tutto molto bello, peccato però che i neodiciottenni siano riusciti a spendere solo il 6,3% di quanto stanziato. Chi per una ragione, chi per un’altra. Colpisce leggere che la maggior parte dei richiedenti non abbia superato nemmeno il primo step: creare la propria identità digitale. Il secondo passaggio era quello di iscriversi a 18App, la piattaforma anche scaricabile gratuitamente su smartphone e tablet. E qua i dati stupiscono ancora di più: solo il 40% degli aventi diritto si è iscritto. E non è finita qui, quest’ultimi hanno speso complessivamente 18,5 milioni di euro a fronte dei 290 che il governo Renzi aveva stanziato. Praticamente niente. I movimenti studenteschi sottolineano soprattutto la difficoltà nel trovare negozi convenzionati. In 7 comuni su 8, infatti, non sono presenti né musei né rivenditori. Tuttavia l’anno corrente è il 2017 per tutti. E per tutti è avvenuta la rivoluzione digitale. Gli Uffizi non potranno essere trasferiti, ma Amazon e TicketOne dovrebbero essere abbastanza alla mano.
C’è poi chi dice che i ragazzi non siano stati intelligenti a cogliere l’occasione, chi dice che il governo abbia sbagliato troppo anche in questo provvedimento, chi, come al solito, non si pronuncia. Però di una cosa è necessario parlare: l’abitudine tutta nostrana di lamentarsi di qualsiasi scelta politica. In Italia, la disoccupazione giovanile è al 40%. Ci iscriviamo all’università con molte, e forse troppe, aspettative per poi tornare a casa di mamma e papà con la coroncina di alloro ancora in testa, senza sapere cosa farcene. Ma quando ci vengono dati 500 Euro: “è un atto populista, ci vogliono comprare”. La verità è che forse dovremmo imparare ad essere tutti un po’ più umili e ogni tanto a ringraziare. Sembra più che altro necessario ricordare che anche fosse stata un’idea con finalità di accattonaggio politico, nessuno viene obbligato a votare o a supportare un qualsiasi governo. Il populismo è forse uno dei “mestieri” più antichi del mondo. E come ci si domandava in una vignetta di Altan, pubblicata su La Repubblica lo scorso 11 marzo, “È arrivato prima l’uovo o le galline? Il popolo o i populisti?”. Atto populista o no, però, sta a noi far prevalere i nostri diritti in quanto cittadini di una democrazia. Non della stessa idea è, però, Gian Marco Monfreda, portavoce della Rete degli Studenti Medi, che definisce i 500 euro “solo una paghetta e nulla di più”. Ebbene, come si suol dire, non c’è da sputarci sopra. Non dobbiamo dimenticare che sono pur sempre 500 euro e, pensando alla nostra situazione economica, non sono pochi. È pur sempre del denaro che avremmo potuto spendere per andare a sentire la band i cui biglietti sono decisamente troppo cari. Denaro che avremmo potuto spendere per pagarci i libri di testo. Denaro che avremmo potuto spendere per smettere di dipendere del tutto dai nostri genitori. Per crescere. E per diventare soprattutto più autonomi.
Le misure che il governo dovrebbe prendere per migliorare la nostra situazione sono sicuramente ancora tante, la lista è inesorabilmente lunga – si pensi, in primis, al miglioramento della qualità dell’insegnamento. Però non si può neanche negare che il bonus fosse un primo passo significativo dopo tanti, e forse troppi, passi falsi.
Ginevra Galliano