“Si apre un nuova era dell’astronomia.
L’Universo così non l’abbiamo mai visto prima”
E’ con queste parole che il sedici ottobre duemila e diciassette viene annunciata al mondo l’ultima scoperta sugli infiniti misteri del mondo celeste. Una data da ricordare, così sottolinea l’Agenzia Spaziale Italiana, e non tanto per il fatto che un’altra volta l’Italia si è dimostrata al passo con nazioni come Germania e Stati Uniti, ma per l’importanza che i risultati dell’osservazione avranno sui futuri studi astronomici. Ma passiamo ai fatti: cos’è realmente accaduto 130 milioni di anni luce sopra le nostre teste?
Le protagoniste sono due stelle di neutroni vissute 130 milioni di anni fa, quando sul nostro pianeta le creature viventi avevano zampe e scheletri giganteschi e si chiamavano dinosauri.
Le stelle di neutroni sono infatti ciò che resta di una stella dopo la sua esplosione come supernova: un agglomerato di cariche neutre, di piccole dimensioni e incredibilmente denso. I nostri due corpi celesti, al termine del processo di avvicinamento, hanno ruotato l’uno intorno all’altro emettendo onde gravitazionali, che sono state osservate per un centinaio di secondi. Contemporaneamente, con la fusione, hanno invece emesso un lampo di luce sotto forma di raggi gamma, intercettato dai satelliti Fermi e Integral, rispettivamente appartenenti alla Nasa e all’ESA. A seguito della fusione, gli scienziati hanno potuto osservare la creazione di elementi chimici pesanti, l’oro e il platino ad esempio, confermando le teorie sulla sintesi di circa metà degli elementi più pesanti del ferro.
Ora abbiamo la netta certezza che la fede che brilla al dito di nostra madre proviene da una fusione di stelle. Da brivido, non è vero?
Ma non finisce qui. La scoperta scientifica riguarda il modo in cui l’informazione è stata captata.
Per la prima volta un segnale proveniente dallo spazio è stato registrato sia attraverso le onde gravitazionali, sia attraverso la radiazione elettromagnetica. Una coppia vincente, che combinando – semplifichiamo – “vista” e “udito”, offre agli studiosi la possibilità di captare contemporaneamente segnali cosmici diversi. Una coppia che spalanca le porte della ricerca verso il nuovo orizzonte dell’astronomia multimessaggera.
“È infatti la prima volta – spiega Filippo Martelli, docente di fisica all’università di Urbino e tra i fondatori del gruppo italiano di ricerca Virgo – che le informazioni relative ad un fenomeno astrofisico vengono acquisite attraverso due osservazioni profondamente diverse e complementari: quella dell’emissione elettromagnetica a tutte le lunghezze d’onda, che è stata da sempre l’unico ‘messaggero’ usato per avere notizie sul cosmo, e quella gravitazionale, in grado di portare informazioni da quelle regioni inaccessibili alla luce”.
La bellezza del progresso non ha limiti, così come il nostro universo, di cui piano piano, tassello dopo tassello, cerchiamo di ricostruire il disegno originale. Ci riusciremo mai? Forse, tra molti anni, quando i nipoti dei nostri nipoti saranno morti di vecchiaia. Ma ci accontentiamo, seppur di poco, seppur di un passo alla volta, di conoscere qualche piccola verità. Piccola in confronto alla vastità dei segreti ancora da svelare, e dei misteri irrisolti. Grande, per noi uomini, minuscole formiche su una pallina annacquata, retta da forze di straordinaria potenza. Inarrestabili, da quando per la prima volta uno scienziato di nome Galileo puntò il suo cannocchiale verso l’alto e iniziammo a studiare la volta celeste.
Emma Barraco