Questa è la storia di una di quella che oggi definiremmo una delle più grandi fake news di tutta la storia umana, un inganno che fece crollare un impero facendone nascere un altro.
Siamo nel 1868: mentre crescono le tensioni tra la Prussia e l’Impero francese di Napoleone III, scatenatesi con l’aumento dell’influenza prussiana sulla Confederazione Tedesca del Nord, la Spagna vede la detronizzazione della regina Isabella II e di tutta la famiglia dei Borboni nella cosiddetta La Gloriosa, un’insurrezione che instaura un breve regime democratico nello stato iberico. Dopo la rivoluzione, gli Spagnoli offrono il trono al principe di Prussia Leopoldo di Hohenzollern-Sigmaringen; la Francia intima al principe tedesco di rifiutare l’offerta, poiché teme di trovarsi circondata dagli Hohenzollern di Spagna e di Germania, dove la Prussia di Guglielmo I domina indiscussa sugli stati tedeschi del Nord; Guglielmo I, nonostante l’avviso contrario del primo ministro Bismarck, cede alle pressioni francesi e spinge il fratello a rifiutare la corona. A questo punto Bismarck, il cui scopo è indebolire l’egemonia francese e unificare la Germania, estremamente indignato per l’arrendevolezza del re, è sul punto rassegnare le proprie dimissioni. Ma la situazione, in realtà, si complica ulteriormente: i Francesi infatti vogliono, in cambio della definitiva risoluzione della crisi diplomatica, che sia garantita una rinuncia permanente degli Hohenzollern al trono di Spagna; Napoleone III invia pertanto l’ambasciatore francese Vincent Benedetti alle terme di Ems, una città in Germania occidentale dove Guglielmo I si trova in quel momento, per comunicare le sue richieste al re prussiano: quest’ultimo, irritato dall’improvvisa visita, si limita a ribadire il ritiro di Leopoldo dalla candidatura al trono spagnolo, per poi congedare l’ambasciatore senza concedere ulteriori garanzie. Guglielmo I fa dunque inviare dal suo segretario Heinrich Abeken un telegramma dai toni piuttosto diplomatici a Berlino, nel quale la vicenda viene riassunta in questi termini:
“Sua Maestà mi scrive: Il conte Benedetti mi ha sorpreso insidiosamente alla passeggiata, chiedendo in modo molto insistente l’autorizzazione a telegrafare subito che per l’avvenire non avrei più dato il mio consenso, qualora gli Hohenzollern fossero ritornati alla loro candidatura. Ho finito col congedarlo un po’ severamente poiché non si devono né si possono prendere tali impegni à tout jamais. Gli ho detto naturalmente che non avevo ancora ricevuto nulla e che egli, avendo prima di me l’informazioni da Parigi e da Madrid, vedeva bene che il mio governo era di nuovo fuori di questione. Di poi sua Maestà ha ricevuto una lettera del principe Carlo Antonio. Siccome sua Maestà aveva detto al conte Benedetti che aspettava notizie del Principe, così tenuto conto della pretesa di lui, la stessa Maestà, per consiglio mio e del conte Eulenburg, ha deciso di non più ricevere il conte Benedetti, ma di fargli dire da un aiutante, avere ricevuto ora dal Principe la conferma della notizia che Benedetti già aveva avuto da Parigi (e cioè che il Principe aveva ritirato la sua candidatura) e non avere più nulla da dire all’ambasciatore. Sua Maestà lascia all’arbitro dell’Eccellenza Vostra, se non si debba comunicare subito, sia ai nostri ambasciatori, sia alla stampa, la nuova pretesa di Benedetti e il rifiuto ad essa opposto”.
Bismarck si trova dunque ad avere “carta bianca” su come e quando comunicare alla stampa il messaggio, e vede in questo telegramma un’occasione d’oro: riassumendo imprecisamente la vicenda e modificando le formule diplomatiche, dà al telegramma un tono aspro che lo fa sembrare uno sdegnato rifiuto:
“Dopo che le notizie della rinuncia del Principe ereditario di Hohenzollern sono state annunciate ufficialmente al governo imperiale francese da quello reale spagnolo, l’ambasciatore francese in Ems ha richiesto ancora sua Maestà il Re di autorizzarlo a telegrafare a Parigi che sua Maestà si impegnava per tutto il tempo a venire a non dare giammai il suo consenso qualora gli Hohenzollern ritornassero alla loro candidatura. Sua Maestà il Re ha ricusato di ricevere ancora l’ambasciatore francese e ha fatto dire per mezzo del suo aiutante che non aveva più nulla da comunicare all’ambasciatore”.
I toni audaci del telegramma modificato da Bismarck fanno allora infuriare l’opinione pubblica francese, che è nel pieno dei festeggiamenti per il 14 luglio, l’anniversario della presa della Bastiglia: il messaggio modificato, oltre ad essere un evidente rifiuto delle richieste francesi, fa intendere che l’ambasciatore Benedetti sia stato congedato dal re di Prussia per il tramite di un aiutante di basso rango, in modo quindi poco riguardoso.
Pochi giorni dopo, il 19 luglio, la Francia, spinta da un’ondata di nazionalismo, dichiarò guerra alla Prussia: Bismarck ottenne così ciò che voleva, una guerra contro i Francesi per completare l’unificazione tedesca. I suoi piani ebbero pieno successo: il nazionalismo crebbe anche sul suolo tedesco, tanto che i pochi stati indipendenti restanti si unirono alla Prussia, e il cancelliere ottenne anche neutralità delle altre europee quali la Gran Bretagna e la Russia. In pochi mesi le armate tedesche sconfissero quelle francesi e arrivarono persino a catturare Napoleone III, dichiarando la fine dell’Impero francese e la nascita del nuovo Impero tedesco. Nonostante la cocente sconfitta, però, la Francia non dichiarò la questione conclusa: il sentimento di rivalsa verso i tedeschi sfocerà nella Prima guerra mondiale e nel Trattato di Versailles, che impose alla Germania di Weimar insostenibili condizioni di pace.
Cristiano Colucci