Il Divo – recensione

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Quanti uomini di potere hanno fatto la nostra e la loro storia, quanti di loro vengono giudicati, ammirati, imitati, diffamati. Li guardiamo da una prospettiva che neanche noi forse capiamo bene, e alla fine commettiamo sempre la stessa svista: li scambiamo per qualcosa di diverso, ma che altro possono essere se non uomini come noi? Sono dei, eletti dalla gente che li considera tali, in molti casi convinti a tal punto di questa loro natura da staccarsi da leggi, etiche, morali, per seguire il loro pensiero. Forse solo in punto di morte, guardandosi allo specchio Hitler, Stalin, Napoleone, Augusto hanno visto di nuovo il loro volto umano. In vita invece due sono state le nature di questi personaggi: quella divina, pronta a considerare senza nemmeno accorgersene solo il proprio punto di vista e quella umana, che ha avuto modo di farsi sentire solo mordendo la coscienza di tanto in tanto. Non a caso quindi, il film di Paolo Sorrentino uscito nel 2008 è intitolato “Il Divo”, parola che ai giorni nostri indica una celebrità, ma che affonda le sue radici nel latino “deus”, nome irregolare che vuol appunto significare “dio”. Questa pellicola narra la storia di Giulio Andreotti, sette volte Presidente del Consiglio, otto volte ministro della Difesa, cinque volte ministro degli Esteri, tre volte ministro delle Partecipazioni Statali, due volte ministro delle Finanze, ministro del Bilancio e ministro dell’Industria, una volta ministro del Tesoro, ministro dell’Interno, ministro dei beni culturali (ad interim) e ministro delle Politiche Comunitarie. Personaggio ancora vivo, che si può dire, senza esagerazioni, abbia costruito nel bene e nel male una parte consistente della politica italiana fino al 1993, anno a cui risale il suo ultimo mandato prima che fosse coinvolto in una serie di processi per associazione mafiosa e corruzione, da cui poi venne assolto.

Un film da vedere per molte ragioni, soprattutto perché i ragazzi di oggi conoscono la storia fino alla seconda guerra mondiale, e poi: buco nero. Tutti sanno chi è il Duce, ma non in molti sono a conoscenza del fatto che il partito fondato da Alcide De Gaspari, Democrazia Cristiana, ha governato l’Italia per quasi cinquant’anni, dal 1944 al 1993 e la sua evoluzione, le sue vicende, la caduta sono le basi da cui sono nati la politica e i partiti attuali.

Un film da vedere perché racconta la vita di uno dei personaggi più enigmatici della storia italiana: grande statista, ma anche freddo e cinico comandante, uomo religioso e uomo di potere.

Una figura solitaria, una mente brillante casa di un pensiero lucido e lungimirante. Un uomo che si è fatto strada pacatamente ma con determinazione, fino a raggiungere le vette, con quali mezzi ancora non è chiaro. Il difficile ruolo del protagonista è stato affidato a Toni Servillo il quale, studiando gestualità, voce e stile è riuscito a dar vita ad un personaggio vivo, reale, in grado di esprimere appieno una delle mentalità più ermetiche ed incomprese della storia italiana. Una recitazione che ha fatto guadagnare all’attore una serie di premi invidiabili, ma che non è stata apprezzata altrettanto dall’autentico Giulio Andreotti, il quale ha assistito alla prima del film e ne è uscito irritato, in disaccordo su molti punti. Del resto, questo film non si limita ad essere un documentario ma cela una critica non polemica, ma ben strutturata. Inoltre è incentrato principalmente sulle accuse, sui processi e sugli omicidi che videro come sospettato l’ex presidente del Consiglio, ponendolo sotto una luce particolare che mostra il suo lato più umano davanti a quella che si preannunciava come una caduta. La battaglia e la solitudine del dio. Forse la scena meno apprezzata dal ministro è stata proprio la più diretta: il monologo di Toni Servillo davanti alla telecamera:

“Non hanno idea delle malefatte che il potere deve commettere per assicurare il benessere e lo sviluppo del Paese. Per troppi anni il potere sono stato io. La mostruosa, inconfessabile contraddizione: perpetuare il male per garantire il bene. (…) Abbiamo un mandato, noi. Un mandato divino. Bisogna amare così tanto Dio per capire quanto sia necessario il male per avere il bene. Questo Dio lo sa, e lo so anch’io.”

Parole che possono risultare un’accusa, ma frutto di una ragionamento che non ha nulla di malvagio, anzi, strutturato su una logica fin troppo attuale, anche se ingiusta.

Critiche comprensibili a parte (probabilmente se il film fosse uscito dopo la morte del ministro avrebbe avuto ancora più successo, ma sarebbe valso di meno), la pellicola ha ricevuto numerosi premi, grazie soprattutto alla recitazione di Servillo, ma anche grazie ad una colonna sonora innovativa per il genere, che all’inizio può sembrare stonata nel contesto, ma che infine risulta essere rappresentativa per le scene che accompagna e in grado di dare una certa carica emotiva coinvolgente per lo spettatore.

Premi guadagnati: Festival di Cannes 2008: Premio della giuria ; European Film Awards 2008: European Film Awards per il miglior attore (Toni Servillo) ; 7 David di Donatello 2009 (su 16 nomination): miglior attore protagonista (Toni Servillo), migliore attrice non protagonista (Piera Degli Esposti), miglior direttore della fotografia, miglior musicista, miglior truccatore, miglior acconciatore e migliori effetti speciali visivi ; 5 Ciak d’oro: miglior regista, miglior attore protagonista (Toni Servillo), miglior attore non protagonista (Carlo Buccirosso), miglior produttore, miglior manifesto ; 2 Ioma 2009: miglior film italiano, miglior regia (Paolo Sorrentino) ; 4 Nastri d’Argento: miglior regista (Paolo Sorrentino), miglior attore protagonista (Toni Servillo), miglior sceneggiatura e miglior produttore.

 

Eugenia Beccalli (3F)

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