Il Dottore del Genere Umano

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bruegel-il-misantropo“La misantropia nasce quando si è riposta eccessiva fiducia in qualcuno, senza conoscerlo bene, ritenendolo amico leale, sincero, fedele, mentre poi, a poco a poco, si scopre che è malvagio e infido, un essere del tutto diverso”. Questa la definizione della misantropia che, a distanza di ventiquattro secoli, il filosofo Platone ci affida nel suo “Fedone”; leggendo queste parole possiamo notare come l’animo umano abbia sentito poco l’azione del tempo, rimanendo immutato. Per natura, ogni uomo è sedotto dal pensiero di una vita serena, felice, spensierata e tende pertanto al perseguimento, fisico e mentale, di tale obiettivo; accade però, nel corso dell’esistenza di ogni individuo, che, perseguendo quest’idea, si scopra la tetra esistenza del dolore. L’uomo infatti, proprio nella sua ricerca della felicità, soffre, anche per natura.
E’ proprio questo il motivo che, negli animi più sottili e sensibili, dà origine alla misantropia. L’uomo, che ripone fiducia e amore nel suo prossimo, nel momento in cui riceve soltanto indifferenza, prova un dolore che facilmente da individuale diventa universale, ed è il più delle volte misto a rabbia e rancore. Qualsiasi uomo diventa così oggetto di disprezzo, di odio da parte del misantropo, che pur riuscendo a vivere nella comunità, soffre indicibilmente al continuo contatto con i propri simili. In una società decisamente tirannica, crudele e assolutamente restia a conoscere e accettare ciò che è differente, il misantropo tuttavia è ingiustamente condannato proprio da coloro che egli stesso condanna. Ciò che gli altri ignorano è che, diventare misantropi è frutto di un passato da “Dottore del Genere Umano”; l’amore che si prova nei confronti dell’umanità è lo stesso amore che porterà a ribaltare il tutto, a provare profondo odio verso i responsabili di una incomprensione che diventa invalicabile. La misantropia dunque è malattia di coloro che vivono, conoscono e sperimentano il mondo (Leopardi). Sono quindi i misantropi e i cosiddetti “normali” la stessa cosa? Sì, perchè entrambi denigrano il diverso. Mentre i primi, dopo il dolore, si allontanano dagli uomini nella paura di ricaderci nuovamente, i secondi si allontanano da ciò che è loro estraneo, non familiare, incomprensibile. Entrambi desiderano lontananza dall’altro e, per una volta, l’uomo dà all’uomo in fondo ciò che vuole.

C’è più dolore al mondo o più bellezza? Bisogna accettare con dignità la bellezza nel dolore o rassegnarsi al dolore con fiochi barlumi di bellezza? A tutti la propria scelta; al misantropo senza dubbio l’esistenza di un dolore inevitabile. Egli comprende che si può essere immuni alla felicità e all’armonia, ma che non si può essere immuni alla sofferenza; mentre la prima, pur essendo “naturalmente” nell’uomo, anche se da ricercare e da raggiungere, il secondo è parte intrinseca della natura umana. Ed è proprio nella natura meravigliosa, ma al contempo penosa dell’uomo che il misantropo non accetta minimamente di poter convivere con se stesso (e di conseguenza gli altri).

Il musicista Beethoven, per esempio, è un misantropo. Tale natura del genio tedesco può essere spiegata soprattutto psicologicamente: egli perde la felicità e l’armonia col mondo, infatti, nel momento un cui perde l’udito, lo strumento che gli permetterebbe di comprenderlo meglio.

Beethoven, improvvisamente, si sente inadatto nei confronti della vita, non gli appartiene; si isola così da coloro che la affollano. Da un punto di vista più metaforico, invece, Beethoven è un prescelto. Diventa sordo ed è lo stesso musicista che ce lo ricorda, perchè “mentre nelle orecchie degli uomini Dio sussurra, nelle mie egli urla”. L’arte quindi è lo strumento che innalza l’artista, che lo porta al cospetto di Dio e lo nobilita. Solo così, nella sua misantropia, nel disprezzare ciò che lui è, e ciò a cui lui non deve appartenere, l’artista potrà raggiungere qualcosa di superiore alla “misera bellezza del cosmo umano”.Questo perchè egli è degno di un regno più grande, quello immenso della Musica.

Il misantropo, come il Poeta di Rimbaud, è un Veggente; si fa veggente e così vede; la sua sensibilità sconfinata, il suo amore per gli uomini lo porta, però, a vederne la vera natura. Ed ecco che appena scopre che essi sono malvagi e crudeli, decide di chiudersi in se stesso, di rinnegare qualsiasi rapporto con gli altri.
Gli uomini solitamente vivono felici e lieti per ciò che v’è di bello in loro, disposti ad accettare e tollerare il patimento; tuttavia esistono uomini, e questo solo nella misantropia, che prendono coscienza di se stessi non soltanto nella bellezza, ma anche in ciò che è turpe e terribile. Sono gli uomini che non possono spiegarsi l’ inevitabile e irremovibile presenza delle sofferenze.

Nel dolore, nella sofferenza, nella crudeltà i misantropi comprendono che l’artefice di una condizione desolata è l’uomo stesso. Indignato, confuso, deluso dalla propria natura, che è uguale a quella di tutti gli altri individui, il misantropo trova come unica via d’uscita la possibilità di “allontanarsi da se stesso”, in quanto lui stesso un uomo. Ma come è possibile, allora, condannare un uomo in fondo così sensibile ed innocuo? D’altronde, cos’è la misantropia se non una presa di vera coscienza, dopo una smisurata passione e dopo un immenso e incommensurabile amore per il genere umano?

 

Martina Romano, Giovanni Trovato (3D)

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