Con giusto qualche giorno di ritardo sulla catastrofica alluvione che ha colpito Genova, il carismatico leader del Movimento 5 Stelle ha ritenuto opportuno presentarsi, se non per vera preoccupazione, almeno per spietata campagna elettorale, agli abitanti della città, con tanto di scorta. Nulla di strano per il leader di un partito, teoricamente senza leader, il cui nome è sinonimo di vicinanza alla popolazione e di pari opportunità. Il magico Beppe, idolo delle folle, al gentile invito di tirare dentro la lingua e su le maniche, per aiutare a spalare il fango che copriva le strade su cui viaggiava la sua vespa con autista, ha risposto, con impareggiabile abilità retorica, di avere la coscienza a posto, e chesemmai sarebbe stato compito di Renzi venire a spalare, anche perché molti dei “suoi ragazzi” si erano già messi al lavoro, chi per strada, chi in parlamento. Nulla di strano per il più noto tra quelli che si uniscono ai partiti e si fanno Marcello. Piccolo problema. Il popolo non ha gradito. E dato che l’invito di quei ragazzi, molti dei quali erano probabilmente suoi elettori, era tutt’altro che gentile, il classico salto del grillo, leggendaria mossa che permette di trovare sempre agevolmente un bersaglio su cui riversare la rabbia per confondere le acque e poter dire tutto senza dire niente, non ha funzionato appieno, dimostrando che anche il populista tra i populisti può fallire. Non che non ci siano colpevoli, sia chiaro. La sentenza del TAR aveva bloccato i lavori della messa in sicurezza del Bisanzio per tre anni, dalla scorsa alluvione, a causa del ricorso presentato da una delle compagnie che avevano perso la gara d’appalto, e la protezione civile ha, con cura lapalissiana, avvertito del rischio che il torrente potesse esondare. Dopo l’alluvione. Evidentemente però il capo del popolo ha perso il suo tocco magico, dato che non si è accorto che quello che cercavano i genovesi in quel momento non era un colpevole, ma un aiuto, una dimostrazione tangibile di vicinanza e di sostegno. Cercavano una pala in più, e hanno trovato solo parole ed un leader arrogante che tentava di aizzarli come cani da caccia, di mettergli la pulce, pardon, il grillo, nell’orecchio. E così, battuto nella sua città, il signore del Movimento ha optato per una ritirata strategica negli agi di Roma. Non sia mai che a forza di urlare, tra lì e l’incontro nella capitale, gli scappasse la voce del popolo. Quello che ha fregato il nostro eroe è probabilmente il fatto di non essersi accorto che questa volta non era un fatto di coscienza. Non si trattava di urlare un “no” o un “vaffa” contro il governo di un paese che si regge a stento in piedi, senza bisogno di ulteriori spinte. Si trattava invece di dare, finalmente dopo anni, almeno l’impressione di essere propositivi e costruttivi, senza dimostrarsi solo distruttivi ed affetti da una sorta di feticismo per il veto. Evidentemente qualcuno non è stato in grado di vedere oltre il proprio indice puntato. Che dire, sembra che le parole di Gramellini siano proprio vere, e che l’uomo che trasformava gli altri in zombie, sia diventato a sua volta parte del passato. Chissà, sarà giunto anche per lui il canto del cigno? Pardon, del grillo?
Davide Costa (4H)