La valigia è pronta, vicina alla porta, la cartella preparata. La chiamano. Deve scendere.
Cammina per quel corridoio estremamente lungo, sente il rumore provocato dalle ruote del suo trolley quando passano da una piastrella all’altra.
Nulla la costringe ad andare avanti, lei nemmeno lo vuole. Desidera rimanere lì, tra quei muri che le trasmettono tanta sicurezza, eppure continua ad avanzare, lentamente, per inerzia, forse spinta da quel poco senso del dovere che ha in corpo.
Tutti la salutano. Lei non li vede. È in un’altra dimensione, sta pensando a tutto ciò che ha passato. Storie, ricordi: una vita.
Avanza. Il secondo dei tre corridoi che deve percorrere le si staglia davanti e le sembra improvvisamente troppo lungo. Non vuole andare. Ma le gambe si muovono e lei si chiede che cosa le porti a continuare a camminare.
Lì, tra quei muri, riflette su tutto ciò che ha fatto. Pensa: “Quella volta che mi sono fatta quella figuraccia con i miei compagni ero proprio qui!”. Poi va avanti e ogni passo le porta un ricordo. Si rende conto che non c’è un solo metro quadrato in quell’edificio in cui lei non abbia vissuto qualcosa, che non le faccia tornare in mente un momento specifico.
Ecco che, passo dopo passo, immersa nei suoi pensieri, si trova alla fine del terzo corridoio. La porta.
Le si stringe il cuore, non ha nemmeno salutato tutti. O meglio, lo aveva fatto nella sua mente. Li porterà sempre con sé nei suoi ricordi.
Angoscia. Qualcosa di bagnato le sfiora gli occhi, una lacrima, poi un’altra. Ha mal di pancia, spera che qualcosa la trattenga. Nulla. “No, no, no, non aprirla!” Contrariamente al suo volere il braccio si allunga e apre la porta, piano. La ragazza si sente morire, non riesce nemmeno a trattenersi un po’, piange tutte le sue lacrime. L’aria le taglia il viso, le lacrime si ghiacciano.
Era uscita ormai, tutto era svanito. Si unisce alla folla e un’ombra, che sembra esattamente uguale a tutte le altre, piena di tristezza, si mette in cammino.
Aimar Domiziana (2B)