Da settimane sosto in un silenzio che non è sterile ma che, anzi, partorisce quotidianamente tanti pensieri, tante idee, tanto rammarico e, talvolta, allegria. Non ho più scritto, insomma, non perché non avessi nulla da dire ma, al contrario, perché ho troppe cose di cui parlare, troppi avvenimenti da raccontare, troppe emozioni vissute ed inesplicabili. Inenarrabili sensazioni, provate l’una dietro l’altra. Ma oggi so che parole usare, so quello che devo e voglio dire, perché è il cuore a dettare: come potrei star zitto sentendo le urla provenienti dal cuore dell’Italia? Come potrei? La Luna aveva deciso di spogliarsi agli occhi degli abruzzesi dopo essersi vestita con spesse nuvole per settimane: la pioggia l’assecondava nel suo nascondersi dagli occhi indiscreti degli umani. Domenica, però, voleva presenziare alla macabra tragedia, che probabilmente aveva previsto. Voleva fotografare ed imprimere nella sua memoria quasi eterna la potenza della natura matrigna che abitano gli umani, insignificanti e impotenti marionette che, troppo spesso, si credono e si fingono protagonisti. La tragedia è iniziata alle 3.32 in Abruzzo: un rombo funge da ouvertore, e poi un brivido che scuote la Terra: una scossa pari a 6,3 gradi della scala Richter. Cadono le case, crollano gli edifici storici, si accasciano su di sé i palazzi. Gli uomini, persi nel caos più totale, si riversano nelle strade. C’è chi urla il nome della madre, sperando di sentirne la voce provenire dalle macerie. C’è chi resta in silenzio e urla di disperazione con gli occhi, lucidi e attenti, impegnati nella ricerca delle proprie figlie. C’è chi corre, lontano da casa, come se pochi metri più in là il pericolo sia scampato. “Sono morti quattro bambini”, “anche una signora è rimasta sotto le macerie!”, “dicono che Onna è stata rasa al suolo”, chiacchierano gli Aquilani ancora in vita. Centocinquanta, poi duecento, e poi ancora, sempre più cadaveri. Millecinquecento feriti si precipitano nell’ospedale, inagibile anch’esso. Centomila sperano di trovare un luogo dove alloggiare nei prossimi giorni, dove mangiare, dove sperare di poter riabbracciare amici e parenti.
La luna, indignata per lo spettacolo, se ne va. Si nasconde nuovamente dietro le nuvole cariche di pioggia che ritornano poco dopo, dietro le quali proseguirà il suo cammino fino all’altra parte dell’emisfero. Anche il sole getta soltanto un timido sguardo. Nemmeno lui, grande e possente, riesce ad assistere ad un tale spettacolo.
Si diffondono le prime immagini della tragedia tra gli umani: la trama dello spettacolo sarebbe dovuta essere diversa! Si ribellano contro la natura gli uomini di tutto il Paese, appoggiati da quelli di tutto il mondo. A Belgrado gli operai della FIAT donano il loro sangue per aiutare i bisognosi, dalle altre regioni italiane corrono i volontari della Guardia Civile e della Croce Rossa, le istituzioni europee promettono aiuti economici. Compiante in tutto il mondo, dalla Spagna all’America, le vittime provocate dal crollo di quell’idilliaca scenografia. La luna, il sole, le stelle hanno deciso di non continuare a guardare quell’orribile spettacolo. Ma ora, forse, si commuoverebbero a vedere quanto noi uomini, marionette maneggiate dalla natura, sappiamo essere solidali l’uno con l’altro, quanto possano valere i personaggi secondari e le comparse, quanto sappiamo compatire realmente le sofferenze dei nostri fratelli e come, in momenti di così alto pathos, sappiamo accordarci su che ruolo interpretare: persino i politici hanno di non polemizzare ma di agire!
Cara luna, caro sole, io, timido umano, vi invito a tornare a guardarci da lassù: il sipario non si è ancora chiuso. E vedrete che ci sarà un nuovo colpo di scena: noi umani sfideremo ancora una volta la natura!
Stefano Castello (5D)