“Does anybody have some prayer request today?”
“Oh, yes. My sister is looking for a house in Phoenix, she’s not finding it, i’d like to pray for that, thanks!”
E così giorno dopo giorno, lezione dopo lezione, ora dopo ora, ogni cosa inizia per me in questo modo da più o meno tre mesi. Si prega per la propria caviglia slogata, per la partita di pallavolo l’indomani, per il cibo, per l’acqua, perché sabato faccia bel tempo, si prega perché Dio ci ascolti, perché ci dia fede, forza, coraggio, vigore, saggezza, concentrazione durante il test, per il bel giorno passato, per il bel giorno che verrà. Si prega per tutto. Da soli, in due, in tre, in cinquanta, con tutta la scuola. In chiesa, a casa, in palestra, a letto, fuori, dentro. Si prega per tutto e dappertutto. A cena, prima di nuotare, dopo una festa, mentre si guida, alle dieci, alle sei, P.M., A.M.: si prega per tutto, dappertutto e in ogni momento.
Tre mesi e mezzo fa, esco dall’aeroporto ed entro in un forno: 46° gradi, Phoenix, AZ. Inizia la mia bruciante esperienza negli U.S.A. : un’inglese totalmente diverso da quello imparato sui libri di scuola, la gente (quasi!) uguale agli stereotipi che si sentono e si spargono in giro per l’Italia a proposito della provincia americana: truck enormi, case alla Homer Simpson con la porta per entrare dentro al garage, frigoriferi enormi con riserve di cibo ancora più grosse, per non parlare di taniche e lattine a non finire, piene di bevande mai sentite dai gusti indicibili (Coca Cola alla vaniglia, alla ciliegia!). Il paese del capitalismo, della libertà commerciale, dove tutto è possibile, e per vendere si fa di tutto, e si vede di tutto: pubblicità ogni quindici minuti alla televisione, ovunque per strada, slogan assurdi e prodotti esattamente uguali venduti da più compagnie, le quali si eleggono le migliori in merito a qualità o caratteristica, pur vendendo la stessa identica cosa. Il paese dove si può guidare a sedici anni, ma non si può bere e fumare, almeno prima di averne compiuti 21, e soprattutto dove fumo e alcol sono simbolo del diavolo. Addirittura per alcuni ballare promuove il sesso e la pornografia. Si va in paradiso o all’inferno; chi uccide ma si pente e accetta Gesù Cristo o chiunque creda in Gesù, il Redentore, ha la possibilità di ricevere il tanto richiesto e desiderato pass per il Regno dei Cieli. Dio è il creatore di tutto e di tutti, e le guerre e i cattivi finiranno quando Gesù tornerà per l’unico ed inimitabile Giudizio Universale. La VERA storia del mondo è quella della Bibbia: tutti sanno per certo di derivare dal Sig. Adamo e la Sig.ra Eva e sono rassegnati al fatto che i due abbiano commesso il primo peccato, l’originale, e che un giorno, poiché nessuno credeva più in Dio, Egli fece piovere e allagò il mondo, uccidendo tutti tranne un tal Noah (Noè), a cui diede il compito di far nascere una nuova era. Quindi da egli tutti noi ora deriviamo e le cose materiali non sono importanti, anzi sono insignificanti, e bisogna vivere come se ogni giorno fosse l’ultimo e pensare eternamente. E per di più:
“The fool] says in his heart,
There is no God.
They are corrupt, their deeds are vile;
there is no one who does good.”
Psalm 14:1
Tutto ciò va detto (dimenticatevi il condizionale) all’indicativo, anzi all’imperativo.
Per definizione Protestanti, a loro piace essere chiamati semplicemente cristiani: nascono, crescono e muoiono con queste convinzioni, hanno i paraocchi e queste sono le prime cose che imparano, e anche le ultime, poiché non si aprono a nient’altro: forse sto esagerando, ma in ogni caso se aprono gli occhi, lo fanno solo indossando le lenti di Dio, per dirlo metaforicamente, ovvero sempre con una prospettiva religiosa. Queste cose sono il fulcro, il significato della loro vita, e più o meno quello che sento ripetere da quando sono arrivato, giorno dopo giorno, lezione dopo lezione, ora dopo ora. La mia scuola infatti, la “Phoenix Christian High School”, si basa su queste nozioni per insegnarle come assolutamente VERE, e più che una scuola è una comunità, una grande famiglia: tutti si conoscono, sempre le stesse facce e gli stessi cognomi. E io, in questa comunità, sto vivendo con la famiglia del capo, il preside della scuola, il quale si è spostato più e più volte per trovare un ambiente come questo, e finalmente si è fermato, sette anni fa, qui a Phoenix, nelle grazie del Signore: perciò sto facendo un’esperienza esageratamente religiosa, e sinceramente mi piace scoprire e vedere tutte queste tradizioni, convinzioni, questa parte di mondo, non me l’aspettavo e non ci avrei mai creduto, o meglio non me lo sarei mai immaginato così se non l’avessi vissuto per davvero.
Ma la religione non costruisce il cento per cento della mia esperienza: in mezzo c’è anche molto sport, al quale do invece un giudizio molto positivo: a nessuno interessano le tue qualità, diciamo a inizio stagione. L’unica cosa importante è l’interesse che dimostri, l’impegno e quanto ti sacrifichi e dai. Il resto non conta, ti prendono per come sei, ed è onestamente la prima volta che faccio uno sport seriamente, e volontariamente lo prendo così seriamente, capendolo e migliorando, anche perché in qualsiasi sport tu faccia ti devi allenare tutti i giorni, e gli allenamenti sono decisamente duri. Sono passato da nuoto a wrestling, che sembra uno strano sport ma che in realtà è molto interessante: anch’io quando mi hanno proposto di provarlo mi aspettavo tipi enormi che si lanciano e si scannano su un ring, ma non è niente di tutto ciò. E’ estremamente difficile (si fanno esercizi e training che fanno solo nell’esercito), ma appena lo si capisce e si comprendono lo scopo e la meccanica, questo strano sport completamente sconosciuto in Europa, dopo averlo scoperto, inizia a farsi piacere: sopratutto quando si inizia a vincere, e si inizia a non andare più via con il gusto amarissimo della sconfitta.
All’inizio pensavo che tutto ciò, sommato, risultasse in modo negativo, e di andare via con una cattiva esperienza in tasca, e sei mesi sprecati. Ma ora sto pensando che invece tutto ciò è una enorme lezione di vita, e una esperienza indimenticabile, senza pari e che so che mi servirà, magari non adesso, non “in a short time”, come direbbero loro, ma sicuramente più avanti. Fare cose assolutamente fuori dal normale e che non ti verrebbero mai in mente e uscire dal proprio nucleo familiare, dal posto in cui sei nato e cresciuto e vissuto per sedici anni e decidere di passare sei mesi o un anno negli States, puntare il dito a caso, su un posto a caso, in una famiglia a caso, in una scuola a caso, affidarsi ciecamente alla “tùche” e partire e scoprire e vedere e conoscere: penso che sia stupendo, un’occasione che non voglio sprecare e che voglio sfruttare fino all’ultimo e che sicuramente rifarei.
Alessandro Burrone (4C)